Page 36 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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donna invece correva trascinandosi addosso due materassi. Un’altra incedeva con un
carrello pieno di polli, prosciutti, salmoni. Ma più di tutto hanno saccheggiato i
liquori. Le botteghe di vino e di whisky furon le prime a essere invase, vuotate.
Anche al quarto giorno li incontri con la bottiglia in mano che bevono beati, ubriachi,
indifferenti ai cadaveri dei loro fratelli che scansano come spazzatura, alla polizia
che passa suonando l’urlo lacerante delle sirene.
A parte quei trentasei morti, i feriti sono milleduecento, i derubati
millecinquecento, gli arrestati duemilaottocento; e il danno in dollari ammonta a
cinquecento milioni; oltre trecento miliardi di lire. Né ciò comprende il danno alle
industrie paralizzate: per ricchezza Detroit era la quinta città d’America. La General
Motors è chiusa, dei trentamila impiegati nessuno s’è più presentato al lavoro. E,
ovvio, son chiusi i ristoranti, i teatri, i cinema: il coprifuoco comincia alle nove e
mezzo di sera e finisce ad alba avanzata.
Si capisce, a star qui, il drammatico annuncio di Johnson, quando a mezzanotte di
lunedì sera, ora di Washington, apparve su tutti i canali della televisione
interrompendo film, annunci economici. Parlava dalla Casa Bianca, al suo fianco
c’era McNamara, se fosse scoppiata la guerra con la Russia o la Cina, il suo tono
non sarebbe stato più tragico. «La difesa della legge spetta alle autorità locali, il
governo federale non dovrebbe intervenire fuorché in circostanze del tutto
straordinarie. Ma la legge e l’ordine sono stati infranti a Detroit. Razzia, assassinio,
incendio doloso non hanno nulla a che fare coi diritti civili. Sono una condotta
criminale e noi non tollereremo l’illegalità. Non permetteremo la violenza, da
chiunque essa venga compiuta, sotto qualsiasi slogan o bandiera. Non la tollereremo!
Alle 11,02 di stamane ho istruito il ministro della Difesa McNamara affinché
iniziasse il movimento di truppe che il governatore del Michigan ha chiesto.»
Per prendere questa decisione Johnson aveva riesumato una legge del 1795,
secondo la quale il presidente degli Stati Uniti può impiegare le forze armate per
domare una rivolta contro il governo, però rischiava di giocarsi l’elettorato negro
che tre anni fa lo aiutò a sconfiggere Goldwater.
Non era mai successo fuorché nel 1943, e proprio a Detroit, che un presidente
inviasse le truppe federali per domare una sommossa. Nel 1957 Eisenhower le spedì
nell’Arkansas: ma solo per proteggere la integrazione razziale a Little Rock. Nel
1962 Kennedy le spedì nel Mississippi: ma solo per restaurare l’ordine dopo che un
negro, James Meredith, era stato ammesso all’Università di Oxford. E lo stesso nel
1963 quando, in Alabama, si mise contro il governatore Wallace. Quanto a Johnson,
nel 1965 usò le truppe federali per proteggere la marcia di Selma, o marcia dei
diritti civili. Insomma, l’esercito era sempre intervenuto per difendere i negri, mai
per difendersi da loro. All’improvviso è successo in America ciò che si temeva, ma
in cui non si credeva realmente: un conflitto armato fra bianchi e negri. Un accenno
di guerra civile. Per la seconda volta, come ha detto Bob Kennedy, in poco più di
cent’anni. La prima volta era stato nel 1861 e la guerra era durata fino al 1865.
Non è successo soltanto a Detroit. Di Stato in Stato, le insurrezioni esplodono