Page 37 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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come mine a catena, o come se una parola d’ordine fosse trasmessa. Dall’Oceano
Atlantico all’Oceano Pacifico, dai confini col Canada ai confini col Messico, i
focolai si accendono con regolarità inevitabile: quasi che un esercito clandestino
fosse in attesa di scattare, attaccare, distruggere. Prima di Detroit, ventisei persone
sono morte a Newark, nel New Jersey e milleduecento sono rimaste ferite,
milletrecento sono state arrestate. A New York, Harlem brucia: quattro morti son già
stati contati. La sommossa è iniziata a El Barrio, il quartiere dei portoricani, e
dilaga. Le sirene della polizia ululano di giorno e di notte, solo la pioggia riesce a
scoraggiare i riottosi, ma poi torna il sole ed essi invadono di nuovo le strade,
ostinati, spaccando, bruciando, sparando. A Rochester, ancora New Jersey, ci sono
stati due morti. Ad Englewood, quaranta minuti da New York, le bottiglie Molotov
piombano come grandine sui negozi dei bianchi. A Toledo, in Ohio, è in corso una
battaglia tra i franchi tiratori e cinquecento soldati della guardia nazionale: gli
ingressi alla città sono chiusi da posti di blocco. Altre battaglie avvengono in
numerosi capoluoghi del Michigan: a Grand Rapids, a Saginaw, a Flint. A Pontiac si
annunciano i primi due morti. A Des Moines, nell’Iowa, si lamentano incidenti e
saccheggi. Lo stesso a Houston, nel Texas; a Waukegan, nell’Illinois; a South Bend,
nell’Indiana.
A Cleveland, Ohio, una donna è morta bruciata: la bomba incendiaria è finita
dritta nel suo letto. A Portsmouth, in Virginia, hanno arrestato ventun persone fra
negri e membri del Ku Klux Klan. A Minneapolis, Minnesota, la guardia nazionale è
intervenuta a frenare episodi di vandalismo e ci si batte da oltre tre giorni. A
Phoenix, nell’Arizona, sono state lanciate decine e decine di bombe. A Chicago sono
incominciati gli incendi, centinaia di finestre sono fracassate. A Cambridge, nel
Massachusetts, gli scontri si sono aperti dopo che Rap Brown, presidente dello
Student Non Violent Coordinating Committee, ha arringato la folla a insorgere. Un
poliziotto e Brown sono rimasti feriti, Brown è ora ricercato dall’Fbi per istigazione
alla violenza. A Birmingham, nell’Alabama, quattrocento paracadutisti non bastano a
domare duecento ragazzi negri inferociti per l’arresto di un negro accusato di furto.
A Cincinnati, a Tucson, i pompieri non arrivano a spegnere gli incendi. E il grido di
guerra è: «Ammazza il poliziotto, kill the cop!».
A Bogalusa, in Louisiana, è in atto una marcia di venticinque miglia e il canto
che l’accompagna è: «Questa è la nostra ultima marcia, bisogna bruciar la
Louisiana». Lincoln Lynch, presidente della Lega per l’uguaglianza razziale, ex
pacifista, li incoraggia urlando: «Avete detto fino a oggi d’esser pronti a morire, ora
vi chiedo d’esser pronti a uccidere». L’altra parola d’ordine è: «Fate gelatina dei
musi bianchi». Se prima non era comodo essere negri, ora non è comodo essere
bianchi.
La domanda da porsi è chi, e quando, abbia acceso la miccia. L’hanno accesa
quelli di Newark, dopo l’arresto di un autista negro che è anche suonatore di tromba:
John Smith. Smith guidava il suo taxi accodato a un’auto della polizia che procedeva
con lentezza esasperante. Sull’auto erano due poliziotti di origine italiana, Vito
Pondrelli e John De Simone. Faceva caldo, Smith chiedeva invano strada: Pondrelli