Page 31 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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Poi entrammo nella stanza dove ero andata al mattino. Quasi tutti i ragazzi erano

          lì,  col  mitra  a  tracolla  e  c’era  anche  Ludmilla,  e  tutti  avevano  facce  tragiche  e
          consapevoli, come chi aspetta di morire. Hollo mi venne incontro, mi strinse forte le
          mani ed era ancor più piccolo e magro. E assomigliava ancor di più a mio padre,
          come l’avevo visto nel marzo del 1944 quando i nazisti erano venuti ad arrestarlo. E
          in quel momento gli volli bene e avrei voluto chiedergli scusa per non essere capace
          di fare qualcosa per lui. Avevo la gola chiusa e non riuscivo a parlare.

               Richard mi tirò una botta sulla spalla e mi disse in inglese: «Smettila. Sei solo
          una  giornalista  e  i  giornalisti  non  debbono  commuoversi».  Ma  anche  lui  è  un
          giornalista ed era commosso.  Poi chiese a  Hollo: «Come va, professore?».  Hollo
          sorrise  coraggiosamente:  «Molto  male,  grazie».  «Ha  bisogno  di  sigarette,
          professore?» «Ha bisogno di nulla?» Di nuovo Hollo sorrise. «No, grazie. Abbiamo
          solo bisogno di armi. Ma voi non ne avete.» «E ora, cosa pensate di fare?» chiesi io.

          «Nulla,»  disse  Hollo  «aspettiamo.  Abbiamo  l’ordine  di  difendere  tutti  i  posti  di
          confine.» «Ma siete appena trenta e non avete che qualche mitra. Loro hanno carri
          armati e cannoni.» «Cari signori, una volta bisogna pure morire» disse Hollo.
               Non so capire come facesse ad essere tanto sereno. Erano tutti molto sereni. Poi

          Vecchiato mi tirò una manica, «Ora andiamo via,» disse «non mi piace affatto stare
          qui.» Tesi la mano a Hollo. «Aspetti» disse Hollo. «Non vuole che le offra la mia
          ultima  tazza  di  caffè?»  «Lascia  perdere  il  caffè»  disse  Vecchiato.  «Non  mi  piace
          vederti qui, ti dico.»
               Nemmeno  a  me  piaceva,  anch’io  avevo  paura  e  cominciavo  a  sentire  che  era
          stata  una  pazzia  spingersi  laggiù,  ma  non  potevo  rifiutare  il  caffè  di  Hollo,  non

          potevo far vedere a Hollo e Ludmilla che avevo paura. «Grazie,» dissi «con molto
          piacere»,  e  mi  sedetti.  Fuori  diventava  sempre  più  buio  e  il  buio  è  pericoloso
          quando c’è la guerra; e Hollo ci metteva un’infinità di tempo a preparare il suo caffè.
          L’acqua non bolliva mai e io stavo lì ad aspettare con loro. Gli altri erano usciti e
          poi erano tornati a riprendermi e poi erano usciti ancora, un po’ arrabbiati con me.

               Finalmente il caffè fu pronto e Hollo me lo porse con un inchino canticchiando:
          «Une tasse de café, conosce la canzone francese?».
               Era solo, con trenta ragazzi, assediato da diecine di carri armati russi, eppure
          trovava la forza di canticchiare. Bevvi il caffè. Era pessimo e sapeva di fumo. Anche
          Hollo se ne era accorto. «Voglia scusarmi,» disse «il caffè al fronte non viene mai
          bene.» «Non è vero,» dissi «non ho mai bevuto un caffè così buono.» «Allora me lo

          paghi  con  un  giornale»  disse  Hollo.  «Vorrei  leggere  quello  che  scriverà.  Me  lo
          mandi alla frontiera di Nickelsdorf.» «Va bene» dissi. «Voglio anch’io un giornale»
          disse Ludmilla facendosi avanti. «Le do il mio indirizzo», e lo scrisse su un pezzetto
          di  carta.  Hollo  e  Ludmilla  non  avranno  il  mio  giornale.  I  russi  hanno  occupato  il
          Paese, bombardano Budapest e stanno massacrando tutti gli insorti. I comunisti sono

          tornati  alla  capitale  e  la  rivoluzione  è  fallita.  Nessuno  passa  più  alla  frontiera  di
          Nickelsdorf.   5
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