Page 237 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Mohammad Reza Pahlavi
ORIANA FALLACI. Quando cerco di parlare di lei, qui a Teheran, la gente si
chiude in un silenzio impaurito. Non osa nemmeno pronunciare il suo nome,
maestà. Come mai?
MOHAMMAD REZA PAHLAVI. Per eccesso di rispetto, suppongo. Con
me, infatti, non si comportano davvero così. Quando sono tornato
dall’America ho attraversato la città su un’automobile aperta e,
dall’aeroporto no al palazzo, sono stato applaudito pazzamente da
almeno mezzo milione di persone travolte da un entusiasmo folle.
Lanciavano evviva, gridavano slogan patriottici, non erano a atto
chiusi nel silenzio che lei dice. Non è cambiato nulla dal giorno in cui
divenni re e la mia automobile fu portata a braccia dal popolo per cinque
chilometri. Sì: c’erano cinque chilometri dalla casa in cui vivevo
all’edi cio in cui avrei giurato fedeltà alla Costituzione. Ed io mi trovavo
su quell’automobile. Dopo pochi metri il popolo sollevò l’automobile come
si solleva una portantina e la portò a braccia per ben cinque chilometri:
cosa intendeva dire con la sua domanda? Che sono tutti contro di me?
Dio me ne guardi, maestà. Io intendevo dire solo ciò che ho detto: qui a
Teheran la gente ha tanta paura di lei che non osa nemmeno pronunciare il
suo nome.
E perché dovrebbero parlare di me con uno straniero? Non mi è chiaro
a cosa lei alluda.
Alludo al fatto, maestà, che da molti lei venga considerato un dittatore.
Questo lo scrive «Le Monde».
E che me ne importa? Io lavoro per il mio popolo. Non lavoro per «Le
Monde».
Sì, sì, ma negherebbe d’essere un re molto autoritario?
No, non lo negherei perché in certo senso lo sono. Ma senta: per
mandare avanti le riforme, non si può non essere autoritari. Specialmente
quando le riforme avvengono in un paese che, come l’Iran, ha solo il
venticinque per cento di abitanti che sanno leggere e scrivere. Non
bisogna dimenticare che l’analfabetismo è drammatico qui: ci vorranno