Page 19 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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svolazzando sul pacco: ma il pacco non si curava di loro, allo stesso modo
          di un pacco che non vede e non sente.

             «Cos’è?»  chiesi  a  un  pakistano  che  mi  stava  davanti.  «Oh,  niente»
          rispose.  «Una  donna.»  «E  cosa  fa?»  domandai.  «Oh,  niente»  rispose.  «Si
          sposa.» «La conosce?» domandai. «Certo» rispose. «Sono con loro. Vado a
          casa  con  loro.»  «Posso  venire  con  lei?»  domandai.  «Mi  faccia  venire,  la
          prego.»  «Impossibile»  disse.  «Il  matrimonio  mussulmano  è  una  faccenda

          privata e i giornalisti non sono permessi. Tantomeno i fotogra .» Poi ci
          ripensò. Era un pakistano gentile, il signor Zarabi Ahmed Hussan, aveva
          studiato a Cambridge e gli piaceva fare pazzie pur di aiutare la gente. «Vi

          faccio venire» aggiunse «a una condizione: che lei non pubblichi il nome
          dello  sposo,  né  l’indirizzo.»  «Nemmeno  quello  della  sposa»  promisi.
          «Quello  non  conta»  disse  il  pakistano.  «La  sposa  non  conta.»
          Lentissimamente, con la sua andatura di larva impaurita, il pacco rosso
          era arrivato alla strada. «Perché cammina così?» chiesi al pakistano. «È

          cieca?» «No. Ha gli occhi chiusi» rispose. «E perché ha gli occhi chiusi?»
          «Perché non deve vedere il marito» rispose. «Non l’ha già visto?» «No. Non
          lo ha mai visto» rispose. «Lo hanno visto i genitori per lei.»

             Lo sposo salì sulla prima automobile. S’era tolto la ghirlanda di  ori,
          era molto giovane e sembrava contento. Il pakistano disse che nemmeno
          lui  conosceva  la  sposa,  però  aveva  visto  la  fotogra a  e  sperava  che  gli
          sarebbe  piaciuta.  Se  non  gli  fosse  piaciuta,  del  resto,  avrebbe  potuto
          sposare  senza  di coltà  un’altra  donna:  non  gli  mancavano  i  soldi.  Il

          pacco rosso, invece, fu deposto sulla seconda automobile e alcune donne
          le si misero accanto. Gli invitati, compreso il fotografo e me, salirono su
          altre  automobili  e  nessuno  ci  chiese  chi  fossimo  e  cosa  volessimo:  il

          pakistano  aveva  detto  che  eravamo  suoi  amici  di  Cambridge,  un  po’
          matti. Il corteo di automobili partì.
             Viaggiammo  per  circa  mezz’ora,  nel  buio.  Poi,  dinanzi  a  una  casa
          moderna,  ancora  fresca  di  calce,  il  corteo  si  fermò  e  tutti  scendemmo
          mentre  qualcuno  faceva  girare  una  capra  intorno  allo  sposo,  per

          augurargli prosperità. La casa era quasi priva di mobili, come la maggior
          parte  delle  case  mussulmane,  e  coperta  di  stuoie.  Al  primo  piano,
          raggomitolata  sopra  una  stuoia  e  circondata  da  donne  che  la

          confortavano con misteriose parole, stava il pacco: voglio dire la sposa.
             Teneva la testa appoggiata ai ginocchi e si capiva  nalmente che era
          una  donna  poiché  da  tutto  quel  rosso  incrostato  d’oro  e  d’argento
          uscivano due piedi minuscoli, con le unghie dipinte di rosso e la pianta
          dipinta  di  rosso.  Tra  i  ginocchi,  poi,  penzolava  una  mano  ed  anche  la

          mano era minuscola, con le unghie dipinte di rosso e la palma dipinta di
          rosso.  Piangeva:  e  ad  ogni  singhiozzo  le  spalle  si  alzavano  e  si
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