Page 18 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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purdah o burka o pushi o kulle, o djellabah, ha due buchi all’altezza degli
occhi, oppure un tto graticcio alto due centimetri e largo sei, e
attraverso quei buchi o quel graticcio esse guardano il cielo e la gente:
come attraverso le sbarre di una prigione. Questa prigione si estende
dall’oceano Atlantico all’oceano Indiano percorrendo il Marocco,
l’Algeria, la Nigeria, la Libia, l’Egitto, la Siria, il Libano, l’Iraq, l’Iran, la
Giordania, l’Arabia Saudita, l’Afganistan, il Pakistan, l’Indonesia: il
mondo dell’Islam. E sebbene tutto l’Islam sia scosso da fermenti di ribelle
progresso, le regole riservate alle donne sono regole immote da secoli:
l’uomo è il loro signore e padrone ed esse sono creature tanto inutili a
volte che, quando nascono, non vengono neppure iscritte all’anagrafe.
Spesso non hanno un cognome, né una carta d’identità giacché
fotografarle è vietato, e nessuna di loro conosce il signi cato della strana
parola che in Occidente chiamano amore. All’uomo che le prende per
moglie, anzi per una delle sue mogli, esse vengono vendute con un
contratto, allo stesso modo in cui si vende una vacca o un cammello, e
non possono sceglierlo o ri utarlo o vederlo prima che egli entri nella
stanza da letto e le agguanti: come la piccola sposa senza nome né
indirizzo né voce che vidi a Karachi la notte delle sue nozze.
Ero venuta, a Karachi, per scrivere sulle donne mussulmane. Erano le
dieci di sera e stavo nel giardino del Beach Luxury Hotel quando la vidi.
Non mi accorsi subito che fosse una donna perché, da lontano, non
sembrava nemmeno una donna: voglio dire qualcosa con un volto, un
corpo, due braccia e due gambe. Sembrava un oggetto privo di vita o un
pacco fragile e informe che uomini vestiti di bianco conducevano verso
l’uscita con enorme cautela, quasi avessero avuto paura di romperlo. Il
pacco era coperto, come le statue che si inaugurano in Occidente sulla
pubblica piazza, da una cascata di sto a, e la sto a era rossa, d’un rosso
squillante e sanguigno, interrotto da ricami d’oro e d’argento che si
accendevano, alla luce delle lampade appese alle palme, di bagliori un
po’ cupi. Non si vedeva proprio nulla all’infuori di quel rosso con l’oro e
l’argento. Non si vedevano né mani né piedi, né una forma che
assomigliasse alla forma di una creatura: che tuttavia si muoveva,
lentissimamente, come una larva che si trascina in un buco senza sapere
cosa l’aspetta nel buco. Dietro il pacco veniva un giovanotto, dalla faccia
liscia e rotonda, con una ghirlanda di ori e una giacca di damasco
dorato, i pantaloni dorati, stretti alle cosce ed alle caviglie secondo l’uso
dei pakistani e degli indiani. Poi venivano altri uomini, alcuni vestiti
come lui ma di bianco, altri all’europea. Poi venivano alcune donne in
sari, e il corteo procedeva senza rumori, o parole, o risate, o un poco di
musica: come un funerale. C’era solo il rumore dei corvi che strillavano,