Page 5 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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Ed è di questo che parla il libro: la fatica del mestiere. Non solo
dunque le domande e le risposte uscite su «L'Europeo», non
solo dialoghi in cui l'intervistatrice spazia a tutto campo, dando
spesso lezioni alle sue «vittime», ma anche il resoconto di come
andò ogni singolo incontro: di quanto fu macchinoso ottenere
l'intervista, o al contrario di quanto fu semplice, di come si
comportò l'antipatico, di come reagì, di quanto la fece aspettare,
di com'era il suo sguardo, di che cosa le comunicò al di là delle
parole dette e non dette.
Insomma: il dietro le quinte, i retroscena, the making of.
Ogni capitolo dunque ha la sua introduzione - lei la chiama
presentazione - scritta appositamente quando il reportage
diventò libro. A volte sbrigativa, smilza, sintetica, una pagina e
mezzo, a volte anche sette, un racconto nel racconto, come nella
premessa all'intervista con Natalia Ginzburg, forse il brano più
toccante e letterariamente significativo de Gli antipatici. E ogni
introduzione, ogni apologo, ogni controcanto contiene
esplicitamente un giudizio. «Ciò non piacerà ai cultori del
giornalismo obbiettivo per i quali il giudizio è mancanza di
obbiettività - osserva Oriana Fallaci -: ma la cosa mi turba
pochissimo. Quel che essi chiamano obbiettività non esiste.
L'obbiettività è ipocrisia, presunzione (...). Esiste, può esistere
dunque, solo l'onestà di chi fornisce la notizia o il ritratto: ed è
con questa onestà che ho scritto le mie prefazioni».
L'onestà di fare una scelta di campo. Il sistema Fallaci può
diventare una regola o resterà un'eccezione? Certo quel suo
modo incalzante di procedere con le domande investendo e
quasi travolgendo l'intervistato potrebbe essere brevettato, ma
gli imitatori non saranno mai all'altezza. «Il giornalismo fatto
attraverso le interviste l'ho inventato io - rivendicherà Oriana
quarantanni più tardi in una lunga conversazione con Lucia
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