Page 4 - Oriana Fallaci - Gli Antipatici
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di sovraesposizione mediatica: «La loro celebrità è così vasta,
così rumorosa, così esasperante che ci ossessiona, ci tormenta,
ci soffoca al punto da farci esclamare: "Dio che rompiscatole!
Dio che antipatici!"», sottolinea la stessa Fallaci spiegando,
prima ancora che i suoi lettori possano domandarselo, come mai
non si sia a sua volta inclusa nella categoria: «Non mi ci son
messa perché non sono celebre e di conseguenza sono
simpatica. Rompo le scatole, è vero: ma non le rompo facendo
parlare di me».
Non nel 1963 - anno in cui fu pubblicato questo libro - o
meglio, non ancora: tuttavia Oriana Fallaci non era certo alle
prime armi, visto che aveva esordito nel giornalismo neppure
diciassettenne. Era già ben nota al suo pubblico, oltre che agli
addetti ai lavori, pur non essendo ancora la star della carta
stampata che sarebbe diventata dopo la guerra nel Vietnam.
Le diciotto interviste agli antipatici («quasi sempre
simpaticissimi» strizza l'occhio lei) uscirono tutte su
«L'Europeo» diretto da Giorgio Fattori, concentrate in pochi
mesi, dal dicembre del '62 al luglio del '63: mezzo anno o poco
più, una stagione breve quanto fervida e creativa, in cui l'inviato
Fallaci si sposta da Milano a Buenos Aires, da Roma a Siviglia,
da Cannes a Madrid a Spoleto e soprattutto a Parigi inseguendo
con passo elastico le sue prede, che spesso le fanno fare lunghe
anticamere prima di concedersi al registratore.
È la novità tecnologica di quegli anni che noi diamo oggi per
scontata, ma che creò mille problemi non tanto alla Fallaci
quanto ai suoi antipatici. Lo racconta lei stessa
nell'introduzione: «Se far parlare la gente nota è snervante, farla
parlare dinanzi a una macchina che registra ogni pausa o sospiro
è nel cinquanta per cento dei casi drammatico. La presenza di
un microfono imbarazzava all'inizio anche me».
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