Page 136 - Oriana Fallaci - I sette peccati di Hollywood
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anche un'ombra di ombelico. Debra Paget aveva uno strascico
                lungo due metri, come le spose, soltanto che era giallo e viola.

                Natalie Wood indossava un pigiama aderente di lamé d'oro e un
                cappellino di piume.

                    E,  ad  ogni  arrivo,  un  boato  terribile  si  alzava  lungo  lo
                Hollywood  Boulevard,  perché  bastava  che  il  radiocronista
                dicesse, con la sua aria fatua: «E... ora... Joan... Fon... tai... ne! !

                !»  perché  la  folla  si  mettesse  a  fischiare,  ad  urlare,  ad
                applaudire,  a  lamentarsi  in  un  immaginario  e  repellente

                amplesso  amoroso  mentre  ripeteva,  entusiasta,  il  nome  Joan
                Fontaine. Qualcuno, per l'emozione, piangeva.
                    Altri  tendevano  le  braccia  verso  il  beniamino  come  verso

                un'immagine  religiosa.  Altri,  infine,  si  accasciavano  senza  un
                filo  di  forza.  Vidi  una  vecchia  svenire  e  un  giovanotto

                abbandonarsi a un'orrenda crisi epilettica mentre i poliziotti lo
                trascinavano via.

                  A uno a uno, i divi salivano sul palco del radiocronista che
                porgeva loro il microfono e, con l'aria di chiedere un immenso

                favore,  li  supplicava  di  dire  qualcosa.  Il  divo  agguantava  il
                microfono e, di  colpo, cadeva  un rispettoso  silenzio mentre  il
                divo, o la diva, faceva dichiarazioni del genere:

                  «Good evening»; oppure: «How do you do?». I più generosi
                dicevano:  «Hello».  I  prodighi  esclamavano  addirittura:

                «Waugh!» mentre il boato scoppiava di nuovo, quasi avessero
                detto squisitezze. Allora il divo agitava le braccia, alla maniera

                di un dittatore e, stremato dallo sforzo, se ne andava con l'aria di
                chi è stato fin troppo gentile. Infine arrivò Jayne Mansfield.

                  Era tutta vestita di nero, scollata, con le ciglia finte e i capelli
                bianchi, e si aggrappava al braccio di Mister Universo buttando
                baci al cielo e alla terra. Indugiava, anche perché il vestito era

                stretto,  ma  non  si  concedeva  come  i  colleghi.  Era  felice:  così
                fanciullescamente felice che mi sembrò di vederla tremare e in

                fondo agli occhi vi era certamente una lacrima.
                  Salì sulla pedana inciampando nella coda dell'abito, rischiò di

                cascare, ma non arrossì. Era troppo felice per turbarsi di certe



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