Page 35 - Le canzoni di Re Enzio
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sopra le mani, e i gomiti sull’aia.
            Gli occhi guardano, palpitano i cuori:

            palpitano le lucciole nel buio.
            Parlano e dànno in lievi risa acute;

            fanno le rane prova di cantare.
            Ma Flor d’uliva siede in terra e intreccia

            le lunghe reste; ch’ella non ha drudo.
            Le code intreccia, e mette, ad ogni volta

            data alle code, un capo d’aglio nuovo;
            ma gode in cuore, ché vedrà le torri,

            che in una torre c’è una caiba, e, dentro,
            re Falconello, le catene d’oro,

            i ceppi d’oro, anche i cavelli d’oro.
            I lunghi pioppi scotono le vette:

            son li aierini che vi fan la danza.
            I barbagianni soffiano dai buchi:

            son le versiere che ansimano andando.
            La guazza cade: è ora di partire.

            Partono i drudi, per non far incontri.
            Cade la guazza, che fa bene e male.

            Rincasan ora le pulzelle; ancora
            la schiava è là, sola con li aierini

            che si dondolano... Oi bel lusignolo!
                       canticchia: torna nel meo broilo!...



            Non vanno a giro omai che le versiere;

            vanno alle case dove è un lor fantino;
            il lor fantino nato da sette anni

            in questa notte, ch’era San Giovanni.
            Chiamano all’uscio. Stesi sulle siepi

            son fascie e teli, a prendere la guazza;
            e li aierini passano soffiando

            sui bianchi teli, sulle bianche fascie,
            tremanti al soffio. Qua e là nell’aie

            muoiono i fuochi crepitando appena.
            È mezzanotte, l’ora che al sereno

            prende virtù l’erba, la foglia, il fiore,
            e l’olio chiuso nelle borse d’olmo,




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