Page 43 - Canti di Castelvecchio
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27. La vite

              Or che il cucco forse è vicino,
            mentre i peschi mettono il fiore,
            cammino, e mi pende all'uncino
            la spada dell'agricoltore.
              Il pennato porto, ché odo
            già la prima voce del cucco...
            cu... cu... io rispondo a suo modo:
            mi dice ch'io cucchi, e sì, cucco.
              Sì, ti cucco, vite, ché sento
            già nel sole stridere l'api:
            ti taglio ogni vecchio sarmento,
            ti lascio tre occhi e due capi.
              O che piangi, vite gentile,
            perché al vento stai nuda nata?
            Se anch'io tra i fioretti d'aprile
            sembravo una vite tagliata!
              Piangi quello che ti si toglie?
            Ma ti cucco, taglio ed accollo,
            perché, quando cadon le foglie,
            tu abbia un tuo qualche grispollo!
              O mia vite... no, o mia vita,
            così torta meglio riscoppi!
            E poi... com'è buono, alle dita,
            l'odore di gemme di pioppi!
              E parlare, ritto su loro,
            col venuto di là dal mare,
            chiedendogli, in mezzo al lavoro,
            quant'anni si deve campare!


            28. Il sonnellino

              Guardai, di tra l'ombra, già nera,
            del sonno, smarrendo qualcosa
            lì dentro: nell'aria non era
                   che un cirro di rosa.
              E il cirro dal limpido azzurro
            splendeva sui grigi castelli,
            levando per tutto un sussurro
                   d'uccelli;
              che sopra le tegole rosse
            del tetto e su l'acque del rio
            cantavano, e non che non fosse
                   silenzio ed oblìo:
              cantavano come non sanno
            cantare che i sogni nel cuore,
            che cantano forte e non fanno
                   rumore.


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