Page 189 - Pablo Picasso
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c’è fine né unità né essere umano quale misura di tutte le cose; esiste
           solo  il  cosmo,  solo  l’infinito  frammentarsi  dei  volumi  nello  spazio

           infinito!».[120]
              Vediamo qui, ancora una volta, un elemento tipico di tutti i critici
           russi di Picasso: una notevole prontezza nel definire l’essenza creativa

           più  profonda  dell’opera  del  pittore  per  mezzo  di  analogie  letterarie.
           Allevati nel seno di una grande tradizione letteraria, essi stessi scrittori,

           avevano  come  riferimento  i  protagonisti  della  “tragedia  umana”  di
           Dostoevskij  (Bulgakov,  Pertsov,  Tugendhold)  o  la  grottesca  visione
           gogoliana del volto diabolico del mondo (Pertsov). Così interpretato e

           descritto, Picasso esce dai loro articoli come una sorta di super-pittore:
           per Chulkov, era un genio che esprimeva un pessimismo demoniaco;

           per  Berdiaev,  un  genio  che  esprimeva  la  decadenza,  la  corruzione,
           l’atomizzazione del mondo fisico, corporeo, reale; per Tugendhold, un

           impavido  Don  Chisciotte,  cavaliere  dell’assoluto,  adepto  della
           matematica,  condannato  all’eterna  vanità  della  sua  ricerca  e,  al

           contempo, punta di diamante del decadentismo contemporaneo.
              Tutte queste definizioni (e se ne potrebbero aggiungere molte altre),
           indipendentemente  dalle  loro  differenze,  sono  sfaccettature  di  una

           immagine mentale comune disegnata in base a un modello occulto che
           serviva  a  produrre  interpretazioni  di  Picasso  analoghe.  Oserei

           affermare,  anzi,  che  questo  modello  occulto  altro  non  era  chi  il
           “demone  nietzscheano”  di  Vrubel,  nato  in  origine  dalla  tradizione

           romantica  russa  e  rivitalizzato  alle  soglie  del  XX  secolo  dalla
           consapevolezza simbolista.

              È  un’ipostasi  tipicamente  russa  dell’artiste  maudit,  intimamente
           estraneo  a  qualsiasi  paradiso  decorativo,  artista-emarginato  solitario,
           destinato a morire nell’inferno della sua arte. E così Pëtr Pertsov scrive

           del  possibile  fine  di  Picasso  ispirandosi  all’archetipo  gogoliano  del
           Ritratto. Georgy Chulkov terminò il suo saggio con le seguenti parole:

           «La morte di Picasso è tragica. Eppure, quanto sono ciechi e ingenui
           coloro che credono di poter imitare Picasso e imparare da lui! Imparare
           che  cosa?  Queste  forme  non  hanno  emozioni  corrispondenti  se  non

           all’inferno.  Stare  all’inferno,  però,  significa  anticipare  la  morte.  E  i
           cubisti  non  sono  certo  in  possesso  di  questa  illimitata  conoscenza».

           [121]
              Non  poteva  essere  che  la  morte  di  Picasso,  benché  simbolica,  a

           coronare  questa  immagine  creata  dai  primi  critici  russi  di  un  grande
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