Page 186 - Pablo Picasso
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ragni. Sì, in questa sala c’è qualcosa di quella baracca, e l’impressione
           “ragnesca “è data da quelle tele gravide di presagi appese, ora nere ora

           rosse,  alle  pareti,  che  colpiscono  l’occhio  soprattutto  con  le  nette  e
           lunghe linee del disegno».[116]
              Questo  commento  è  riferito  ai  dipinti  del  periodo  1907-09,

           solitamente classificati come cubisti, mentre il periodo tra il 1910 e il
           1914  era  definito  cubo-futurista.  Le  cosiddette  opere  cubiste

           costituivano la metà delle opere esposte e oscurarono tutte le altre. In
           ogni caso, questa impressione di orrore, quel quid di strano, insolito e
           inquietante, non portò al ripudio o alla condanna di Picasso da parte dei

           pensatori russi. Al contrario, essi furono chiaramente respinti dall’arte
           gioiosa di Matisse che, ai loro occhi, aveva la propria controparte in un

           altro aspetto, diametralmente opposto all’approccio picassiano: l’aureo
           sogno  di  Gauguin,  pieno  di  misteriosi  significati  simbolici.  Picasso,

           invece,  li  attrasse  come  una  calamita,  per  via  di  tutti  gli  elementi  di
           tensione, serietà, pessimismo e filosofia che trovarono nella sua opera.

           D’altronde, questo era il loro pane quotidiano.
              Osservando i quadri di Picasso, si sentirono sull’orlo di un baratro,
           come davanti a icone nere emananti un nera beatitudine che risultava

           quasi tangibile nella sala che le ospitava, come disse Bulgakov (imitato
           da Pertsov). Altri utilizzarono parole analoghe per esprimere i propri

           pensieri.  Georgy  Chulkov  vide  i  quadri  di  Picasso  come  geroglifici
           satanici,  perché  a  suo  parere  certe  forme  non  hanno  emozioni

           corrispondenti,  se  non  forse  all’inferno;  infine,  come  ebbe  a  notare
           Pertsov, c’era troppo misticismo reale nella sua colorata geometria per

           poter pensare a una maschera formale.
              Egli  considerava  la  struttura  metafisica  dell’arte  di  Picasso  alla
           stregua di una rivelazione infernale e utilizzò il termine “cubismo” solo

           in obbedienza al suo ruolo di critico d’arte. «Le tele cubiste di Picasso
           creano  l’impressione  sinistra  di  una  visione  extra-terrestre,  di  una

           fiamma infernale che brucia l’anima.»[117]
              Occorre sottolineare, comunque, che una tale percezione di quel che
           era da considerarsi vera arte, con tutto il relativo vocabolario e i relativi

           schematismi, era tipica dei poeti simbolisti russi dell’ultimo decennio
           dell’Ottocento. In un programmatico articolo del 1907 intitolato Sullo

           stato attuale del simbolismo russo, Aleksander Blok scriveva: «L’arte è
           l’inferno.

              Non per niente Valeri Briusov suggeriva all’artista: “Come a Dante,
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