Page 26 - Francesco tra i lupi
P. 26

leader dell’episcopato di Germania, il tedesco di curia Walter Kasper, ex presidente del consiglio per l’Unione
    dei cristiani. Vi si aggiunge il cardinale belga Godfried Danneels.
      Nei trentacinque anni di regno di Wojtyla e di Ratzinger gli appelli più forti ad affrontare riforme in campo
    ecclesiale sono venuti dall’area di lingua tedesca. Ancora nel 2011, quando Benedetto XVI si è recato in visita
    in Germania, un memorandum di teologi e teologhe tedeschi ha propugnato l’urgenza di aprire nella Chiesa
    una stagione di riforme e partecipazione. Nello stesso anno dall’Austria è partito un appello di parroci alla
    «disobbedienza» per invocare il matrimonio dei preti, il sacerdozio femminile, una partecipazione dei laici alla
    guida delle comunità parrocchiali prive di sacerdote. Il cardinale Schönborn da tempo ha auspicato che il
    Vaticano affronti i temi caldi, ma è stato zittito.
      Il  momento  di  realizzare  il  mutamento  è  ora.  Anche  se  ai  primi  di  marzo  regna  ancora  l’incertezza  sul
    candidato migliore, il cardinale Lehmann, partecipando alle riunioni cardinalizie, coglie un radicale cambio
    di clima rispetto al 2005. Allora la candidatura di Ratzinger venne imposta dai cardinali curiali e la centralità
    dell’Europa era indiscussa. Nel 2013 non più. «L’Europa non gioca più lo stesso ruolo di prima... al conclave
    del 2005 i cardinali europei si presentavano con maggiore sicurezza e peso, adesso non è così», confida ai suoi
    collaboratori. «Tra i non europei ci sono molte personalità di rilievo... parlano inglese, francese, spagnolo e
    conoscono perfettamente i problemi ecclesiali europei, gli abusi, le fuoriuscite dalla Chiesa».
      Nel  gruppo  tedesco,  sebbene  a  una  settimana  dal  conclave  non  si  sia  ancora  cristallizzato  un  nome  in
    maniera univoca, viene formulato un identikit chiaro del papa auspicato. «C’è bisogno di un uomo di fede,
    che mostri ciò che significa credere. Lontano da qualsiasi cordata, appartenente ad un “centro” ragionevole,
    moderno, aperto, positivo... e che non si chiuda in un monologo».
      Ciò nonostante staccarsi dall’Europa, da quell’asse intorno al quale è cresciuto e maturato il cristianesimo e il
    cattolicesimo  si  è  fortificato  –  ispirandosi  al  retaggio  organizzativo  e  giuridico  della  Roma  imperiale  –,
    rappresenta un salto epocale. Per compierlo i principi della Chiesa, che hanno in mano le sorti del conclave,
    hanno bisogno ancora di contatti e riflessioni. Il conclave si avvicina, ma la candidatura di Bergoglio non
    decolla. Il cardinale australiano Pell è ancora convinto che il papato non lascerà l’Italia: «Se c’è un cardinale
    italiano ben preparato, credo che sarà sempre il favorito». Pell si spinge ad una profezia: «L’elezione di un papa
                                                                   76
    latino-americano dovrà verificarsi nei prossimi cento anni» .
      Alla svolta, che sta maturando, contribuiscono una serie di movimenti in corso nel cuore della curia romana.
    Contrariamente  all’immagine  stereotipata,  che  circola  sui  media,  la  curia  non  è  affatto  arroccata  in  senso
    conservatore  e  meno  che  mai  è  monolitica.  I  vari  gruppi  al  suo  interno  si  muovono  ognuno  per  conto
    proprio.  Solo  una  parte  è  a  favore  del  candidato  italiano  Scola.  Cardinali  importanti  sostengono,  invece,
    apertamente la necessità di spingersi con coraggio oltre i confini dell’Europa. Il cardinale Giovanni Lajolo, ex
    ministro  degli  Esteri  della  Santa  Sede,  lo  dichiara  senza  esitazioni:  «Niente  vieta  che  ci  possano  essere
                                                                           77
    contemporaneamente un papa e un segretario di Stato non italiani» .
      Lajolo  fa  parte  di  quella  corrente  diplomatica  che  si  è  nutrita  della  lezione  di  Paolo  VI  e  del  cardinale
    Agostino Casaroli. I “diplomatici” intendono proseguire l’internazionalizzazione del governo centrale della
    Chiesa  iniziata  da  papa  Montini.  Dopo  il  pontefice  slavo  e  il  pontefice  tedesco,  che  hanno  chiuso
    simbolicamente la spaccatura dell’Europa prodotta dalla guerra fredda, ritengono sia venuta l’ora di dare voce al
    cattolicesimo d’Oltreoceano.
      Anche la cordata che fa riferimento al cardinale Bertone si rende conto dell’urgenza di aprire una stagione
    nuova. Cambiare tutto è l’unico modo per non restare emarginati. Bertone ha un candidato sudamericano di
    calibro: Odilo Scherer, arcivescovo di San Paolo del Brasile, la nazione con il maggior numero di cattolici del
    mondo.  Figlio  di  immigranti  tedeschi,  con  un’età  da  conclave  perfetta,  sessantatré  anni,  Scherer  è  una
    personalità  di  stretta  ortodossia,  attento  ai  problemi  sociali,  impegnato  nella  difesa  dell’Amazzonia  dalle
    speculazioni delle grandi aziende agricole. Contemporaneamente è ben inserito in curia, è membro della
    congregazione per il Clero e soprattutto fa parte della commissione di vigilanza dello Ior.
      Sarà  questo  in  definitiva  a  danneggiarlo.  Quando,  infatti,  nelle  battute  finali  delle  riunioni  pre-conclave
    divamperanno le discussioni sulle responsabilità delle disavventure della banca vaticana, Scherer difenderà il
    lavoro della curia, dando l’impressione di non essere l’uomo adatto per una riforma dell’apparato vaticano.
      Scola o Scherer. In vista del voto nella cappella Sistina, che nel frattempo è stato fissato per il 12 marzo, i due
   21   22   23   24   25   26   27   28   29   30   31