Page 24 - Francesco tra i lupi
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generale è che il successore di Benedetto XVI sia un uomo capace di reggere il timone. È un sentimento
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trasversale. «Abbiamo bisogno di un uomo di governo», scandisce l’inglese Cormac Murphy-O’Connor .
L’australiano George Pell, vicino a Ratzinger, dichiara: «Il prossimo papa dovrà essere naturalmente un buon
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teologo, ma io preferirei qualcuno capace veramente di guidare la Chiesa e di rimetterla insieme» . Un uomo
dotato di una «conoscenza del mondo attuale, dal punto di vista filosofico e politico», soggiunge il cardinale
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cubano Jaime Ortega . C’è da ricostruire la credibilità della Chiesa, sottolinea il sudafricano Wilfrid Fox
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Napier .
Priorità assoluta è la riorganizzazione del governo della Chiesa. I cardinali stranieri si lamentano di un
organismo che ai loro occhi appare soffocante e scoordinato, indebolito dal calo di qualità del personale, per
non parlare degli scandali finanziari. Non sono i soli. Anche in curia sono scontenti per vari motivi. La
maggioranza dei prelati è contraria all’eccessivo potere, che con gli anni si è accentrato nelle mani del
segretario di Stato. Vedono il cambio di papato come l’occasione per una resa dei conti. Molti porporati si
lamentano di non avere avuto accesso regolare a papa Ratzinger. Criticano l’effetto negativo che ha avuto, sul
governo della Chiesa, l’isolamento di un pontefice che alla fine non aveva incontri né con tutti i responsabili
dei dicasteri curiali né con i singoli vescovi in visita ad limina né con i nunzi di passaggio in Vaticano.
Lo stesso Benedetto XVI, nei suoi ultimi interventi, spinge per il rinnovamento. Al rito delle Ceneri
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denuncia le divisioni in campo ecclesiale e punta il dito contro «individualismi e rivalità» . Nel discorso di
addio, il 28 febbraio, esorta al coraggio: «La Chiesa è una realtà vivente... in divenire», che procede
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trasformandosi .
Nella ricerca del successore anche l’età gioca un ruolo. Molti porporati rivelano di cercare un candidato tra i
sessanta e i settant’anni. La Chiesa, pensano, non può permettersi un altro pontificato troppo breve. Ideale è
stato il regno di Paolo VI, quindici anni. Vent’anni come quelli di Pio XII sono lunghi. Ventisette, quanto è
durato Giovanni Paolo II, fuori dalla norma. «Vogliamo un Padre Santo – dicono scherzando – non un Padre
Eterno».
Si cerca un papa con doti di comando, ma per molti giorni si assiste ad una polverizzazione delle
candidature. «Ci sono pochi elettori e molti papabili», ironizza il cardinale francese Philippe Barbarin, che i
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romani vedono ogni mattina recarsi in bicicletta in Vaticano . Si va dal canadese Marc Ouellet, prefetto della
congregazione dei Vescovi, al primate d’Ungheria Péter Erdö, dall’africano Peter Turkson all’italiano
Gianfranco Ravasi, ministro della Cultura vaticano.
Erdö e Ouellet vengono dalla stessa scuola di pensiero ratzingeriana, la rivista «Communio». È un handicap,
quando la maggioranza dei cardinali chiede un segno di netta discontinuità. Intanto lunedì 4 marzo sono
iniziate le riunioni generali dei cardinali. «Filo conduttore delle sessioni – ricorda un cardinale – erano le
critiche alla curia. Non si facevano nomi, ma la questione tornava di continuo. Solo tre o quattro interventi
l’hanno difesa».
Un veterano come il cardinale Roger Etchegaray, ambasciatore volante di Giovanni Paolo II nelle zone di
crisi, descrive lo stato d’animo di molti porporati: «Si sentiva che il cambio di papa rappresentava l’occasione
per rinnovare le cose». Un cardinale europeo precisa: «Predominava il discorso della discontinuità. Dopo gli
avvenimenti degli ultimi anni il sentimento generale era “Mai più!”. Si voleva aria fresca, aleggiava il
desiderio di uscire da un piccolo mondo».
Suscitano simpatia come outsider, per la loro calda umanità, il cardinale di Boston, Sean O’Malley – barba
bianca e viso aperto, che gira in sandali e con saio da cappuccino –, e il filippino Luis Antonio Tagle,
soprannominato il “Roncalli di Manila”. Ma Tagle non ha neanche cinquantasei anni. Meglio che aspetti un
giro, profetizzano alcuni.
Il nome di Bergoglio nelle settimane precedenti al conclave non è in agenda. È una personalità conosciuta e
stimata – oltre ai suffragi ottenuti nel conclave del 2005, ha raccolto successi come autore del documento
finale alla conferenza dei vescovi latino-americani ad Aparecida nel 2007, e nel 2001 era stato eletto nel
consiglio del sinodo dei vescovi con il massimo dei voti – ma ormai viene ritenuto troppo anziano.
È nato nel 1936, è vicino ai settantasette anni. Più o meno la stessa età che aveva Joseph Ratzinger quando fu
eletto. «Prima che iniziasse il conclave non l’avevo sentito nominare neanche da parte dei confratelli latino-
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americani», confessa il cardinale Renato Martino, già presidente del Consiglio Giustizia e Pace .