Page 39 - Meditazione sui colori
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15. L’AMBIVALENZA DELL’INDACO









      Per alcuni è un blu molto scuro, per altri una variazione del viola: in realtà l’indaco contiene
      entrambi i colori e in chiave simbolica potremmo definirlo il passaggio da un colore all’altro.
         Se, infatti, nella dimensione spirituale del blu scompare l’io del giallo (ancora presente nel
      verde), qui il blu diviene così cupo che sembra perdere la sua identità, l’ultima traccia, seppur
      sublimata, dell’individualità per perdersi nella trascendenza del viola.
         Per la tonalità assai intensa del blu è detto “blu di mezzanotte” e in effetti si colloca in un

      momento evolutivo particolare: il lungo cammino della coscienza, dal manifestarsi degli istinti
      primari  alla  formazione  dell’io  e  alla  consapevolezza  spirituale,  ha  raggiunto  ora  la  sua
      maturità e nello stesso tempo sperimenta un nuovo, radicale processo di trasmutazione.
         Viene da pensare alla frase di S. Paolo, «Più la notte è fonda, più l’alba è vicina», ma qui
      siamo  giunti  al  limite  della  notte,  all’ora  0  o  ora  X,  al  «già  e  non  ancora».  Che  cosa  sta
      accadendo?

         L’indaco  è  legato  alla  dimensione  mistica  della  notte,  intesa  come  trasmutazione  della
      coscienza,  vero  «salto  nel  buio»,  in  cui  il  ricercatore  spirituale  assiste  alla  disgregazione
      delle sue certezze intellettuali, filosofiche e religiose che necessariamente si sono sviluppate
      secondo una logica personale e conservano i limiti di paletti ideologici, per quanto piantati “il
      più in là possibile”: il passaggio dall’io al Sé, dalla coscienza umana a quella divina, non può
      avvenire  senza  un  radicale  salto  qualitativo,  senza  che  “il  chicco  di  frumento  muoia”  per
      diventare altro, in una nuova e vera identità che in nessun modo può essere contenuta nella

      vecchia forma.
         È la «notte oscura» di cui parlano i mistici, descritta così bene da S. Giovanni della Croce
      in  quel  capolavoro  di  poesia  simbolico-religiosa  e  insieme  di  acuta  analisi  psicologico-
      mistica che è L’ascesa al monte Carmelo. In essa leggiamo: «È necessario che per prima cosa
      l’anima getti via tutti gli attaccamenti […] e che poi, per mezzo della notte oscura del senso,
      si purifichi delle scorie lasciate in essa […]; da ultimo il lavoro che l’anima deve compiere

      per giungere a questo monte sublime è quello di cambiare le vesti, che il Signore stesso muterà
      da vecchie in nuove, usando l’opera che l’anima ha compiuto nelle due prime spogliazioni.
      Egli  infatti  porrà  in  essa  una  nuova  conoscenza  di  Dio  in  Dio,  facendole  porre  da  parte
      l’antico  modo  umano  di  conoscere;  le  infonderà  un  nuovo  amore  di  Dio  in  Dio,  poiché  la
      volontà ormai è vuota di tutti i suoi antichi affetti e gusti umani» (I, 5, 7).
         L’indaco simboleggia questa fase cruciale di purificazione, di spogliazione, durante la quale
      «bisogna restare nell’oscurità come un cieco […], senza cercare appoggio in nessuna delle

      cose che l’anima comprende, gusta, sente o immagina». Occorre svuotarsi per riempirsi, anche
      secondo  il  noto  insegnamento  buddista,  ma  è  una  dilatazione  di  coscienza  in  cui  si  perde
      coscienza, “si sviene”, sperimentando quel senso di annullamento e di morte che si trova in
      fondo all’oscurità del blu.
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