Page 110 - Il grande dizionario della metamedicina
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→ Tiroidite: infiammazione della ghiandola tiroidea.
     Prima che mi venisse questa tiroidite, ho forse provato una grande collera per il fatto di non potermi esprimere
     in ciò che rivestiva importanza per me?
     → Tiroidite di Hashimoto: malattia autoimmune che provoca la distruzione della ghiandola tiroidea da parte del
     sistema immunitario. Può essere il risultato di un’infezione virale. Vedi Malattie autoimmuni.
     Prima di soffrire di questa patologia della tiroide, ho avuto una malattia virale (influenza, raffreddore) o ho
     fatto un vaccino?

     GHIANDOLE  DI  BARTOLINO:  ghiandole  situate  lateralmente  e  posteriormente  rispetto  all’orifizio  della  vagina.  Le  due
     ghiandole svolgono un ruolo importante nella lubrificazione della vagina durante l’eccitazione sessuale.

     → Bartolinite: infiammazione acuta o cronica delle ghiandole di Bartolino che causa dolori nella parte posteriore
     della  vulva  e  al  perineo  e  che  si  manifesta  con  la  comparsa  di  gonfiore  o  tumefazione  di  una  o  di  entrambe  le
     ghiandole.
     Sono forse arrabbiata perché il mio partner non tiene conto del mio piacere o dei miei desideri sessuali?

     →Secchezza vaginale: mancanza di lubrificazione della mucosa vaginale durante i rapporti sessuali. Può derivare
     da un ipofunzionamento delle ghiandole di Bartolino ed essere legata a paure nei confronti della sessualità, a una
     diminuzione di desiderio per il sesso o per il partner.
     Frequente in menopausa, può dipendere dalla paura di essere meno desiderabili o da un calo della libido. Può anche
     sopravvenire in seguito alla rottura con un partner con cui c’era grande intesa sul piano sessuale.
     Desidero meno il mio partner?
     Sono ancora innamorata del mio ex?
     Mi sono sentita in colpa per il fallimento della mia relazione?

     La  liberazione  dai  timori  e  dai  rimpianti  e  la  riattivazione  del  desiderio  può  far  passare  il  disturbo,  anche  in
     menopausa.

     GHIANDOLE LACRIMALI: secernono un liquido alcalino che prende il nome di lacrima. Le lacrime proteggono la cornea e
     impediscono lo sviluppo della flora microbica negli strati esterni dell’occhio. È importante sapere che la funzione
     lacrimale aumenta durante una fase di recupero o di riparazione. Questo spiega perché, quando siamo molto stanchi,
     possono lacrimarci gli occhi senza che si sia tristi. Accade spesso, dopo un parto molto lungo o dopo un intervento
     chirurgico, che si pianga. La cosa viene spesso confusa con la tristezza data dall’ambiente ospedaliero, mentre si
     tratta della fase di recupero o di riparazione. Le lacrime hanno l’effetto di liberare tossine, sciogliere tensioni e
     calmare la mente.
     →  Secchezza  oculare  o  sindrome  dell’occhio  secchio:  l’educazione  che  abbiamo  ricevuto  ci  ha  insegnato  a
     trattenere le emozioni. Ci veniva detto: «Non piangere, poi le cose si aggiustano», o: «Guarda quello che sembri
     quando piangi», o ancora: «Un uomo non piange». Oppure veniva associato il coraggio al fatto di non piangere. Si
     diceva per esempio di una persona che aveva subìto un lutto che era molto brava se non aveva pianto durante i
     funerali,  che  piangere  era  un  segno  di  debolezza.  Questo  spiega  il  motivo  per  cui  molte  persone  hanno  grosse
     difficoltà a lasciar uscire le lacrime o perché si scusano quando piangono. Il fatto di trattenere le lacrime fa spesso
     gonfiare le ghiandole lacrimali, che a sua volta provoca il gonfiore delle pupille. Al contrario, fa bene piangere
     perché troppe lacrime appesantiscono il cuore. Piangere lo alleggerisce oltre a permettere al cervello di allentare le
     tensioni. Certe persone si sono talmente trattenute dal piangere che talvolta hanno la sensazione di non avere più
     lacrime. Nel loro reprimersi possono anche avere ostruito i canali escretori delle lacrime. Impedirsi di piangere può
     comportare problemi cardiaci per le emozioni che rimangono represse nella persona.
     Un mio partecipante che soffriva di ipertensione e di problemi cardiaci mi confidò che aveva seguito diverse strade
     per  riuscire  a  liberarsi  dell’eccesso  di  emozioni  che  aveva  dentro  senza  trovare  quella  giusta.  Gli  chiesi  cosa
     potessero rappresentare le lacrime per lui. Gli venne in mente che a sei anni aveva perduto il padre in un incidente
     d’auto.  Nella  camera  funebre  aveva  visto  sua  madre  piangere  e  aveva  pensato:  «Non  sono  che  lacrime  di
     coccodrillo». I suoi genitori litigavano di continuo e sua madre diceva sempre che se avesse avuto soldi lo avrebbe
     lasciato. A partire da quell’episodio, piangere per lui significò versare lacrime di coccodrillo. Questa equazione
     registrata  nella  sua  memoria  emozionale  gli  impediva  di  esprimere  liberamente  il  suo  dolore.  Lo  portai  a
     comprendere che la madre forse non piangeva la morte del marito ma la situazione nella quale questo evento la
     metteva o forse si era forzata a piangere per non passare per una donna senza cuore nei confronti delle persone che
     non  conoscevano  la  sua  situazione.  La  comprensione  che  aveva  registrato  a  sei  anni,  ovvero piangere  =  essere
     disonesti  si  trasformò.  Comprese  che  la  madre  non  aveva  pianto  per  ipocrisia  ma  per  dispiacere  legato  alla
     situazione  o  per  paura  di  quello  che  gli  altri  potevano  pensare  di  lei.  Poté  allora  accettare  l’idea  che  piangere
     significava esprimere il proprio dolore. Trasformando questa convinzione registrata nel suo cervello limbico, si
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