Page 188 - Come vivere più a lungo
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«È mia speranza che, se vi interessano davvero i malati di cancro, riconsi-
deriate la vostra posizione».
A scrivermi la seconda lettera fu un signore di ottantun anni, di San Franci-
sco. Eccone alcuni stralci:
«Questa lettera riguarda essenzialmente la validità delle sue teorie su cancro
e vitamina C. Come ho scritto sopra, sono stato operato per un cancro colon-
rettale il 4 settembre 1980: avevo una metastasi al fegato, in cui fu trovato un
tumore del diametro di circa 35 mm. In tali condizioni esso non risultò operabi-
le. Mi misi a leggere sull'argomento; intanto mi venivano fatte delle iniezioni
di 5-FU.
Sapevo che lei aveva scritto della vitamina C a proposito del raffreddore
comune, ma non ero a conoscenza del suo lavoro con il dottor Cameron in Sco-
zia.
«Nella letteratura medica trovai facilmente la notizia che una metastasi al
fegato equivaleva a una sentenza di morte: il tempo di sopravvivenza andava
da qualche settimana a 18 mesi. Nella maggior parte delle ricerche, le metastasi
non trattate avevano un periodo di sopravvivenza di 6,1 mesi in media.
«Compresi ben presto che le iniezioni di pirimidina fluorurata 5-FU non
erano niente di più che un placebo. Decisi di smettere di farle. L'oncologo che
mi seguiva non si oppose e prescrisse una scintigrafia del fegato, che mostrò
che il diametro del tumore era cresciuto da 35 mm a 52 mm nel periodo in cui
mi venivano praticate le iniezioni.
«Per natura, sono una persona decisa, e da quando avevo quindici anni so
che vivere vuol dire andare incontro alla morte. Chiamando a raccolta tutte le
mie forze e facendomi guidare dalle sue convinzioni sull'argomento, elaborai
un regime basato su vitamina C, vitamina E e altre integrazioni dietetiche.
«La seconda scintigrafia del fegato, dopo tre mesi in cui avevo preso da 10
a 12 g. di vitamina C al giorno, non mostrò alcun cambiamento né nelle dimen-
sioni né nella struttura della lesione epatica. Il tumore c'era, d'accordo, però
non era cresciuto.
«Continuai il mio autotrattamento e mi misi alla ricerca di un medico che
mi aiutasse. Mi trovai di fronte a un oceano di ignoranza da parte della scienza
medica nei confronti del processo, immensamente complesso, mediante cui il
corpo umano assorbe e utilizza i materiali che gli consentono di esistere. Incon-
trai anche la più profonda indifferenza per quello che stavo cercando di fare.
«Conosco personalmente dodici medici, molti dei quali considero amici.
Cinque di loro mi dissero che all'università avevano seguito soltanto un corso
di sei mesi sulla nutrizione; gli altri sette non avevano seguito neppure quello.
Nessuno di loro mi fece domande su quanto stavo facendo.