Page 136 - Prodotto interno mafia
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iniziò ad avere problemi. Dopo la messa dell’Ucciardone gli fu
assegnata la scorta, ma la rifiutò in maniera decisa perché la
considerava una prigione. Non amava neanche gli inviti alla
cautela: credeva che esporsi in prima persona rientrasse tra i
doveri di un vescovo. Non credo che ci siano stati cambiamenti
di rotta nella sua vita. A Pappalardo stava stretta la qualifica di
vescovo antimafia. Ripeteva: «Noi siamo “anti” nessuno. Siamo
discepoli del Signore, la nostra legge di vita è il Vangelo e il
nostro servizio è per l’uomo. Tutto ciò che è contro il Vangelo e
contro l’uomo ci vede schierati».
Quando si vide etichettato come «il vescovo antimafia», che in
ogni circostanza doveva dire qualcosa «contro» anche se non
aveva niente di nuovo da dire, e veniva cercato dai media
unicamente per commentare fatti di sangue o violenza mafiosa,
si ribellò. Rifiutò categoricamente di parlare, per anni non
rilasciò piú interviste. Riteneva contrario al suo ministero essere
menzionato solo per eventi e prese di posizione che non
riguardavano il clero palermitano, né il suo ruolo di cardinale
all’interno della Chiesa. Era finito per diventare l’esponente
principe dell’antimafia, e preferí tacere anziché alimentare lo
stereotipo.
Com’è la situazione oggi? La mafia sembra sommersa, non
ammazza piú, fa poco rumore, ma ogni giorno la realtà ci
ricorda che è piú viva che mai.
I criminali mafiosi hanno una grande capacità di adattamento.
Mi stupisce sempre rendermi conto di come un’organizzazione,
per certi versi cosí arcaica, abbia invece enorme flessibilità e
spirito di innovazione. Quando Cosa nostra capí che la mafia
sanguinaria non funzionava piú, che le stragi avevano allontanato
il consenso dell’opinione pubblica, adottò immediatamente una
nuova strategia: esserci senza farsi notare, agire in maniera
discreta, «pulita».
Lo fece con due obiettivi: allentare il controllo delle forze
dell’ordine e affievolire la rabbia dei cittadini. La mafia si ritrovò
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