Page 876 - Shakespeare - Vol. 4
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Shakespeare inseriva canzoni popolari in voga nei suoi drammi, adattandole al personaggio che le
                 cantava o alle circostanze della commedia. Non viviamo più in un’epoca, come quella romantica, in
                 cui  si  trovavano  interessanti  per  sé  i  personaggi  della  malavita.  Autolico  non  è  un  criminale
                 simpatico, per quanto veniali possano sembrare i suoi crimini, come nessun criminale lo è più. Forse
                 ora  lo  vediamo  senza  pregiudizi  come  Shakespeare  voleva  che  il  suo  pubblico  lo  vedesse:  un
                 furfante e un fanfarone, ma il fatto che canti il suo mestiere lo rende più accettabile e chiarisce la
                 sua funzione di puro catalizzatore. La commedia comincia qui, con l’ingresso di Autolico che canta. È
                 grazie ad Autolico che viene sfruttata al massimo la comicità del pastore e di suo figlio ed è grazie al
                 suo furfantesco intervento che si scioglie la matassa nel quinto atto. Senza di lui la storia sarebbe
                 cupa e triste, come il Pandosto di Greene.
              37 IV, iii, 43 I puritani disapprovavano il teatro, la musica e la danza e il teatro contemporaneo non
                 risparmiava sarcasmo su questi guastafeste. Questa di Shakespeare è una frecciatina gentile. La
                 cornamusa era uno strumento rozzo e ridicolo per gli abitanti di città e si diceva avesse un suono
                 nasale; nell’opinione popolare i puritani cantavano i salmi col naso.

              38 IV, iii, 62 Non è una distinzione senza significato. Un bandito di strada che si presentava a cavallo
                 era  considerato  più  signorile  di  uno  che  arrivava  a  piedi.  La  sua  giubba  sarebbe  stata  di  migliore
                 qualità.
              39 IV, iii, 83 Un gioco da fiera che si prestava a scommesse.

              40 IV, iv, 85 Comincia qui la discussione tra Polissene e Perdita sulla natura e sull’arte che ha suscitato
                 forse troppo entusiasmo in quei commentatori che la prendono alla lettera. In realtà la discussione
                 “letterale” è solo un’infilata di luoghi comuni rinascimentali: un dialogo vagamente plotinico sull’arte
                 che  imita  la  natura  ed  è  pur  sempre  natura.  Quello  che  è  molto  più  interessante  ed  ironico  è  il
                 sottodialogo.  Perdita  difende  il  suo  onore  e  la  sua  castità,  «non  voglio  bastardi  nel  mio  rustico
                 giardino».  Polissene  che  sa  dell’interesse  di  suo  figlio  per  la  bella  pastorella  la  incoraggia  invece  a
                 produrre dei bastardi, «il nobile virgulto» sposato al «rozzo tronco», «la vile corteccia», impregnata
                 da  «seme  più  nobile».  Forse  Perdita  ha  riconosciuto  Polissene  malgrado  il  travestimento,  in  ogni
                 caso il dialogo è da commedia e pieno di ironia drammatica che doveva divertire enormemente il
                 pubblico.
              41 IV, iv, 100 Questa del piuolo o del paletto piantato nel solco o nel giardino è una metafora sessuale
                 molto comune nella novellistica dal ’300 al ’600. Qui la commedia prende chiaramente il sopravvento
                 sul  dialogo  filosofico  o  sulla  pastorelleria.  Perdita,  tuttavia,  non  perde  mai  la  sua  grazia,  dignità  e
                 poesia. È una commedia a livelli per un pubblico a livelli che poteva apprezzarne ogni sfumatura di
                 tongue-in-cheek.
              42 IV, iv, 205 points ha qui il doppio senso di punti di ricamo e cavilli legali.
              43 IV,  iv,  217 Lawn  as  white  e  più  sotto Will  you  buy  (v.  311)  sono  adattamenti  shakespeariani  di
                 motivi popolari e canzoni tipiche da venditori ambulanti. Si veda lo studio di J.P. Cutts,  La  musique
                 de Scène de la Troupe de Shakespeare, 1959.
              44 IV, iv, 258 Le ballate popolari erano già molto stravaganti; Shakespeare qui si diverte a parodiarle
                 deliziando gli spettatori di città, sempre pronti a ridere dei rustici.
              45 IV,  iv,  332 The  Masque  of  Oberon  di  Ben  Jonson,  già  citato  a  proposito  dell’orso  (nota  34),
                 rappresentato  a  corte  l’1  gennaio  1611  (davanti  al  re)  conteneva  anche  una  danza  di  satiri.
                 Shakespeare  e  Jonson  erano  concorrenti,  ma  anche  amici.  Questa  citazione  è  una  bonaria
                 sfottitura.

              46 IV,  iv,  354  Questo  discorso  di  Florizel  ricorda  i  voli  iperbolici  di  altri  amanti  petrarcheschi  in
                 Shakespeare,  come  Romeo  o  Troilo,  in  contrasto  alla  praticità  delle  eroine:  Giulietta,  Cressida,
                 Perdita.  (Pafford  fa  notare  come  in  alcuni  brani  «romantici»  degli  ultimi  drammi  riaffiorino
                 frequentemente  immagini  dalle  opere  giovanili  o  dai  poemi).  Al  v.  359  Shakespeare  sembra
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