Page 388 - Shakespeare - Vol. 3
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a sua volta derivato da una novella del Bandello, poi tradotta da Belleforest
nelle Histoires Tragiques.
Eppure, in questo caso specifico, è più probabile che, a parte queste fonti,
Shakespeare abbia attinto a piene mani dalle sue stesse commedie, tanto da
indurre un critico a definire Twelfth Night come un «capolavoro di
ricapitolazioni». Antonio deriva direttamente dall’omonimo personaggio di
The Merchant of Venice. Aguecheek era stato preceduto dal personaggio di
Slender che compare in The Merry Wives of Windsor. Già in As You Like It c’è
il personaggio di una ragazza che, come Viola, si traveste da uomo. D’altro
canto, in The Comedy of Errors, Shakespeare aveva trattato una situazione in
cui erano presenti temi come il naufragio, un fratello e una sorella che,
proprio come Viola e Sebastian, se non sono gemelli si somigliano tuttavia in
modo straordinario, il travestimento maschile della ragazza e infine un
preteso pazzo che viene rinchiuso. In The Two Gentlemen of Verona , invece,
assistiamo al travestimento da paggio adottato da una ragazza per seguire il
fidanzato in incognito.
Veniamo alla commedia. Twelfth Night è l’ultima commedia giocosa (al punto
da annoverare dei momenti autenticamente farseschi) scritta da Shakespeare
prima del periodo delle grandi tragedie e delle commedie «nere». Di primo
acchito lo spettatore è portato a lasciarsi sprofondare nell’atmosfera magica,
incantata, evocata dalla commedia, in un mondo in cui le opposizioni e i
contrasti più feroci vengono composti spesso in pochi attimi.
Una commedia di maschere, insomma, nata sì in occasione delle feste
natalizie che però, per molti aspetti, si possono far risalire a una tradizione
largamente invalsa già in epoca precristiana. È proprio questa atmosfera,
quasi sempre eccessivamente esaltata fino a mettere in ombra i lati più
oscuri, più presaghi dello Shakespeare feroce fustigatore dei vizi umani, nelle
produzioni teatrali di quest’opera, quella che di solito viene assunta
acriticamente dal grande pubblico. In realtà, a osservarla più da vicino, la
sensazione che se ne trae è di segno se non contrario quanto meno
largamente contrastante l’opinione comune. La noia, la sazietà, un certo qual
oblomovismo di Orsino, il lutto − peraltro rapidamente dismesso − da Olivia,
la ventata di follia, anche se di segno allegro, che si respira per tutta la
durata della commedia, la presenza ingombrante di oro e gioielli chiamata a
sottolineare l’aria di corruzione dei personaggi «seri», ma soprattutto due
delle canzoni, che in realtà sono dei Requiem, del Buffone, sono chiamati ad
aprire gli occhi dello spettatore più attento alle sfumature, costringendolo a
rientrare a contatto con le punte aguzze del quotidiano una volta che sia