Page 11 - Shakespeare - Vol. 3
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connette l’individuo al lato o cuore irrazionale del cosmo. Ci sono tutti gli
aspetti della follia rinascimentale tranne uno, la gioiosa follia erasmiana.
L’Amleto ha sensi diversi in ogni epoca e ogni cultura, ma anche per ogni
lettore e per ogni lettura. Una volta mi pareva un’opera tetra perché un
mondo tetro vi distruggeva un uomo dolorante. Mi colpivano l’immagine
inventata da Shakespeare per mostrare l’oscena abitudine umana
dell’incostanza e dell’abbandono («le carni cotte per il funerale...») che per
Amleto è tanto più grave perché è lo sfacelo della lealtà e della fedeltà,
somme virtù aristocratiche; o l’altra del mondo abominevole cui pone fine,
desiderata con devozione (e illusione?), la felice morte. Ma ora mi pare
sinistro e tetro anche Amleto, col suo onore ossessivo cui sacrifica tutto, col
suo prestigio che infine lo fa cascare nel tranello del re, vera «trappola per
topi» della storia, col suo razzismo e il suo maschilismo, la sua purezza
filistea e lo stesso suo chagrin che è forma d’egoismo (Proust). Sotto i valori
dell’onore e della passione, nota Haydn, «il controrinascimento di Montaigne
e di Shakespeare smaschera l’ira e la lussuria, la libidine egocentrica e la
libidine del sangue». In Amleto e in Faustus il sottile Frye nota l’affinità al tipo
del «filosofo fissato», e nell’eroe tragico in genere l’affinità al tipo
dell’impostore, se non altro perché inganna se stesso. Ma in Amleto c’è altro:
qualcosa dell’uomo necans che vi vedeva Wilson Knight, il culto ossessivo del
padre, il manicheismo intollerante, la fissazione distruttiva, le uccisioni facili
che i vecchi professori universitari incapaci di uccidere una mosca erano
pronti a giustificare in assoluto o in nome dei valori storici. Oggi, considerare
Amleto un eroe positivo in una tragedia politica o progressista è solo una
cantonata. Il principe appare un uomo sconvolto secondo ogni metodo di
analisi psicologica della sua epoca, quello razionalistico della malinconia e
degli umori o quello etico dell’anima razionale (coscienza, pensiero) che in lui
comunica la propria paralisi alla volontà, mentre l’ira domina la parte
vegetativa e deprime e sconvolge l’intero stato dell’uomo. Ma per noi, che
guardiamo da semplici spettatori o comparse il suo sfacelo, non c’è colpa di
Amleto che possa giustificare le sue sofferenze.
Più i personaggi sono vicini all’occhio del conflitto più hanno molte facce come
Claudio. Lui e Amleto, i due «potenti avversari» (V, ii, 62), sono eroi tragici,
ciascuno con la sua dike, e una iperdeterminazione di motivi che li rendono
inesauribili. Vedere Claudio come eroe positivo (Wilson Knight) è peccare
dell’eccesso opposto a quello tradizionale, decurtare la tragedia come quando
si rende positivo Creonte dell’Antigone. Ma vederlo come il villain dell’opera è
ridurre Shakespeare alla monovalenza e piattezza delle fonti e delle