Page 6 - Shakespeare - Vol. 3
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precristiani. La sua storia misogina è tragica nel senso medievale, quale
esempio della caduta dei grandi, esposto in forma narrativa. Ora, e qui si
entra nelle congetture, la storia che potremmo definire pre-tragica di
Belleforest (tradotta in inglese solo nel 1608 come The Historie of Hamblet)
dev’essere stata la fonte di un dramma popolare perduto ma di cui restano
indizi sicuri, e che i critici hanno chiamato lo Ur-Hamlet e attribuito a Thomas
Kyd, autore della popolare tragedia di vendetta The Spanish Tragedy (1587).
L’esistenza dello Ur-Hamlet è provata da un’allusione di Nashe nel Menaphon
(1589), e il dramma venne rappresentato forse nell’ultimo decennio del
secolo. In esso appariva per la prima volta il fantasma del re morto a
esortare il figlio alla vendetta − ce lo dice il Lodge nel 1596 − ed esso è
considerato la fonte diretta dell’Amleto di Shakespeare, che potrebbe però
aver usato anche il Belleforest (Jenkins). Ciò che più importa notare in questa
vicenda è che, analogamente a quanto era avvenuto nel passaggio dalle fonti
mitiche ai tragici greci (Untersteiner, Dodds, Snell, Vernant), la saga viene
calata nel Cinquecento in un contesto morale, in una «civiltà di colpa», ma è
ancora tutta spiegabile in termini di un’ideologia aristocratico-religiosa. Alla
sua apparizione in Shakespeare la storia diventa ambigua, alla certezza
epico-mitica si sostituisce l’interrogativo tragico, l’eroe non è più positivo ma
problematico e sostanzialmente inesplicabile. Il poeta tragico rivive il mito e
s’interroga su di esso, sente l’eroe affrancato dall’idealità (Frye) nella sua
situazione-limite come simbolo della condizione umana, viene alle prese con
la realtà della fabula come una parte vasta e misteriosa della sua stessa
realtà, si sente nei suoi riguardi insieme partecipe e distaccato come ciascuno
col proprio passato, e cerca in essa il senso e il segreto dell’agire umano ma
consapevole che non potrà mai raggiungerlo. Sui problemi delle fonti e della
trasmissione del testo l’ultimo intervento è del Jenkins nell’ampia
introduzione all’edizione New Arden (1982). Hamlet, datato al 1600-1601 e
pervenuto in un bad quarto del 1603 (che sembra ricostruito a memoria), in
un good quarto del 1604 su cui si fondano le edizioni critiche a cominciare da
quella del J. Dover Wilson (1934), e in una versione più corta nel primo In-
folio del 1623, è il più lungo e il più controverso dei plays di Shakespeare, e
l’unico a presentarsi in tre diverse versioni, di cui due autorevoli. Il testo che
leggiamo è quello (modernizzato) del 1604 con aggiunte dall’In-folio e
contributi dal primo in-quarto.
Le interpretazioni