Page 1181 - Shakespeare - Vol. 2
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mortali, e che coglie l’assurdo della vita e l’identità dei contrari, e mostra
l’indecifrabilità dell’uomo e dell’universo. Tutta la più alta produzione comica
del Rinascimento, così serena e crudele, e altrettanto connaturata di quella
tragica allo spirito dell’epoca, ambisce a rappresentare simbolicamente tutta
la condizione umana: Mundus universus exercet histrioniam (Il mondo intero
recita la commedia) aveva scritto Petronio citato da Montaigne (Essais III, x).
Il grande Samuel Johnson, in un passo molto citato della Prefazione a
Shakespeare (1765), faceva finalmente notare, senza più ombra di biasimo
neoclassicistico, che le opere del suo autore «non sono né tragedie né
commedie, ma composizioni di un genere distinto; che mostrano la
condizione reale della natura sublunare, la quale partecipa del bene e del
male, della gioia e del dolore, mescolati in una varietà infinita di
proporzioni... dove la perdita di uno è il guadagno d’un altro, e allo stesso
tempo l’uno festeggia brindando e l’altro piange nel seppellire un amico». E
altrove osava affermare che a suo avviso Shakespeare «sembra scrivere
senza alcuno scopo morale». Tutta la critica successiva ha poi invece giurato
sull’alto messaggio morale del Bardo. Ma in fondo, a pensarci bene, è quel
sospetto del dottor Johnson che ora spinge i critici ad appioppare l’etichetta
di «problematico» a tragedie e commedie in cui con maggiore evidenza i
conti morali e neoaristotelici non tornano. E Salingar chiama appunto
«commedia problematica» anche Molto rumore per nulla.
La ricchezza dell’immaginazione comica in Shakespeare è oggi attestata da
numerosi studi − soprattutto della seconda metà di questo secolo, perché
prima lo Shakespeare tragico teneva quasi tutta la scena critica − studi che
vedono confluire in lui varie «tradizioni della commedia»: quella plautina,
quella «romanzesca», che usa il folklore medievale, quella cortese e festiva
del Lyly, quella che nasce dalla novellistica italiana. Qualche critico come
Barber ha parlato di una qualità aristofanesca di Shakespeare, per la libera
commistione dei registri, per le invenzioni fantastiche, per il nesso con le
feste popolari. Per il Salingar, invece, il filone festivo è sostegno al tema
centrale e unificante delle commedie e dei «romances», l’amore come
iniziazione al matrimonio; e lo proverebbero i «conclavi» matrimoniali,
ratificati da figure principesche, che chiudono ben tredici delle sedici
commedie. È vero che Shakespeare si astiene nelle commedie dal motivo
novellistico dell’amore libero e sensuale, egli sembra in effetti togliere tutto il
sesso e la licenziosità dagli intrecci per riversarli nel linguaggio. Ma Salingar
fa, di una scelta e ostensione di un dato dell’esperienza a livello della fabula
− l’amore legittimo −, il messaggio delle commedie, che sarebbero