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Peppe Nappa
alabrese di nascita ma è siciliano; con la sua
semplicità disarmante ricorda la maschera di
C C Pierrot, ma in lui non esiste tristezza. Beppe
Nappa è intorpidito da un son- no perenne che lo costringe
a sbadigliare continuamente. “Nappa” in dialetto significa
un uomo buono a nulla.
È il pigro servitore di un padrone che può essere un
vecchio barone al quale scrocca vino e cibo finché non viene
scoperto; di appetito formidabile lo si trova preferibilmente
in cucina, se non altro per respirarne i profumi. Svolge il suo
lavoro in modo inefficiente.
Egli indossa un abito largo e arioso, di colore azzurro e
porta un berretto di feltro bianco o grigio sopra la calotta
generalmente bianca. Il suo nome, che deriverebbe da
“nnappa”, cioè in italiano “toppa”, si tradurrebbe per
estensione in “uomo da nulla”.
Un altro “Nappa” è “Nardo”, Nardo Nappa che appare
in tre commedie di autori diversi del ‘600 ma che è più un
“buffo” che una maschera.
Il carattere del Pagliaccio, i cui primi lineamenti già si
potrebbero rilevare nelle figure di Bertoldo, Bertoldino
e Cacasenno, i protagonisti del famoso libretto di Giulio
Cesare Croce, dai quali trassero motivi la maschera di
Pierrot in Francia e il clown da circo in Inghilterra, si ritrova
in Sicilia nella maschera di Peppe Nappa, un Pierrot esile,
delicato, che sembra uscito da un quadro di Watteau.
In una commedia-balletto, Peppe Nappa, domestico
di un professore, viene mandato in guardaroba, alla fine
della lezione, per ritirare gli indumenti del suo principale.
Arriva trascinandoseli dietro come cenci, e quando gli vien
fatto osservare che sarebbe bene ripulirli, provvede con un
secchio d’acqua e una scopa come se, invece di cappello e
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