Page 14 - Storia della Russia
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Bretagna, in alcuni casi i suoi governanti conquistarono nuovi territori «quasi senza
accorgersene», per una parte della popolazione russa le zone di confine significavano ben
altro: i contadini vi emigravano per vie legali e illegali in cerca di nuove terre da coltivare.
La frontiera rappresentava anche un rifugio, selvaggio e isolato, per chi volesse sfuggire al
controllo oppressivo del governo centrale. Il sogno di una vita migliore fece nascere tra i
contadini racconti utopici di terre libere dal giogo dell’autorità, come la mitica Belovod’e
(Terra dell’acqua bianca) spersa da qualche parte nell’Estremo Oriente siberiano o in
Giappone. La discutibile tesi di Frederick Jackson Turner sulla frontiera americana come
«valvola di sfogo» e crogiolo della nazione è stata applicata anche alla Russia: fuggiaschi
slavi e briganti tatari si nascosero nelle selvagge praterie del sud stabilendosi lungo i
grandi fiumi e adottando lo stile di vita errante e guerresco dei nomadi delle steppe. Fu
così che si formarono gli «eserciti» cosacchi (comunità militarizzate) delle steppe
meridionali. La parola «cosacco» deriva da una radice turca che significa «uomo libero» e
i vasti spazi della frontiera medievale moscovita garantivano loro più o meno lo stesso
genere di libertà (volja) di cui godranno in seguito i coloni e i cowboy armati e
indipendenti delle praterie del Nordamerica. Volja, una delle due parole russe per libertà
(l’altra, svoboda, è la libertà per legge), che significa anche «volontà» o «forza di
volontà», indicava la libertà di esercitare il proprio volere, la possibilità di non essere agli
ordini di nessuno, tanto che tra i primi cosacchi la violenza era la sola e unica legge.
Anche i contadini russi, divenuti servi nel XVI e nel XVII secolo e privati della proprietà
della terra che coltivavano, desideravano volja, che per loro significava libertà
dall’ingerenza dei padroni e del governo. Allo stesso modo cercavano rifugio in periferia i
dissidenti religiosi, fuggiti dalla Chiesa ufficiale dopo lo scisma del Seicento, che si
nascondevano spesso nelle foreste e sulle montagne della Russia settentrionale e della
Siberia. (A metà del XX secolo gli esploratori sovietici si imbatteranno in villaggi
siberiani nascosti fondati da vecchi credenti, i cui abitanti non sapevano nulla della
Rivoluzione bolscevica e dei fatti che ne erano seguiti.)
I grandi fiumi della Russia attraversavano sia le foreste sia le steppe, e il territorio
pianeggiante non spezzava le linee di displuvio, permettendo lo sviluppo di enormi corsi
d’acqua. Nella Russia europea il fiume Dnepr (2285 km) è superato in lunghezza solo dal
Volga, il corso d’acqua più lungo d’Europa (3700 km), che collega Mosca e il nordovest
con il mar Caspio, mentre un breve canale dal Volga al Don – il cui progetto fu completato
solo nel 1952, dopo numerosi tentativi nel corso di tutta la storia russa – dà accesso al
Mare di Azov, al Mar Nero e al Mediterraneo. Ma i fiumi della Russia europea
scompaiono se paragonati a quelli siberiani: l’Enisej (4090 km), l’Ob’ con l’affluente Irtyš
(5410 km) e la Lena (4400 km) nascono al confine con la Mongolia e la Cina e sfociano
nel Mar Glaciale Artico. Siccome scorrono verso nord, da un punto di vista organizzativo
vanno nella direzione sbagliata (i progettisti sovietici lo consideravano un «difetto di
natura»), ma hanno affluenti che scorrono verso est e verso ovest. Nella zona meridionale
dell’Estremo Oriente russo l’Amur, con il suo affluente Ussuri (4510 km), forma gran
parte del confine con la Cina.
Questi fiumi ghiacciano per quasi tutto l’anno, come i mari che delimitano l’antico
cuore della Rus’ e della Russia del nord: il Mar Bianco e il mar Baltico. Altrove il paese
rimase a lungo senza sbocchi al mare, la costa del Pacifico così lontana da costituire
un’area economica a sé stante, e l’accesso ai mari temperati, per un commercio marittimo