Page 13 - Storia della Russia
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la foresta si dirada nella steppa boscosa, con praterie intervallate da zone di alberi decidui,
che si estendono per duemila cinquecento chilometri dai Carpazi agli Urali, e a est fino
all’Enisej. Ancora più a sud la steppa boscosa lascia il posto a distese di steppa aperta, i
«grandi spazi aperti» della Russia, che arrivano fino al Mar Nero e a est si trasformano in
steppa salata e arido semideserto a nord del Caspio. Il terreno delle steppe è formato
principalmente da terra nera (černozëm), ricca e fertile che, nonostante le rade piogge,
permette grande produttività agricola per un vasto triangolo di quattromila chilometri, da
Kiev fino alla Siberia occidentale. Zone di pascolo e caccia per i popoli nomadi, queste
aree rimasero per secoli terra di nessuno, teatro di guerre di confine e arena per la politica
delle steppe, in cui kieviani, moscoviti, polacchi e lituani interagirono prima con gli
invasori pečenegi e polovcy, poi con i discendenti tatari di Gengis Khan, e infine, nel
periodo imperiale, con altri gruppi nomadi come i calmucchi e i kazachi. Ancora nel
XVIII secolo, moscoviti, polacchi e ucraini affrontarono i tatari di Crimea, discendenti dei
mongoli, e altri popoli delle steppe che venivano da quella che i moscoviti chiamavano
«zona selvaggia», razziando, saccheggiando e prendendo prigionieri russi e polacchi per
rivenderli al mercato degli schiavi in Crimea e a Costantinopoli.
Fino all’epoca moderna per i governi di Kiev, di Mosca e per quello imperiale, le steppe
rappresentarono al contempo una minaccia e un’opportunità. Se da un lato minacciavano
un’imminente distruzione per mano di potenti invasori (i primi sovrani furono legati agli
imperativi diplomatici e militari della politica delle steppe eurasiatiche, e fortificazione e
difesa furono tra le loro preoccupazioni principali), dall’altro i territori al confine orientale
rappresentavano uno spazio disabitato e senza controllo, aperto alla conquista e allo
sfruttamento, e offrivano possibilità illimitate di espansione e commercio. La Russia,
infatti, fu uno stato di frontiera per molto più tempo, ad esempio, dell’America, tanto che
uno degli elementi ricorrenti della sua storia è la frontiera in continuo spostamento. La
relativa desolazione della Siberia, conquistata nel Cinquecento e nel Seicento da popoli
autoctoni e dai tatari discendenti dei mongoli, e la pericolosa instabilità della «zona
selvaggia» meridionale richiedevano un controllo e una difesa continui, che costavano
molte risorse. A differenza dell’America, inoltre, la Russia dovette fare i conti con
l’assimilazione delle terre al confine orientale e meridionale e affrontare al contempo
pericolosi rivali in altre zone. Questo stato di cose costrinse i sovrani russi a mobilitare, fin
dalle origini, tutte le loro risorse e in maniera più sistematica rispetto a tutte le altre
nazioni europee. Nel corso dei secoli, in termini di costante insicurezza, perdita di
popolazione, spese per la difesa e rallentamento dello sviluppo economico, la Russia pagò
un prezzo enorme. Ma smisurate furono anche le sue possibilità: la Siberia è tuttora terra
di frontiera, e il confine delle steppe meridionali, in quella che oggi chiamiamo Ucraina,
fu definitivamente chiuso all’inizio del XIX secolo con la colonizzazione di tutto il
territorio. Più tardi, sempre nell’Ottocento, l’ulteriore espansione russa a sudest aprì una
nuova enorme regione di frontiera oltre il Volga, in Asia centrale, e la sua costante
avanzata in quella direzione preoccupò i governatori delle colonie britanniche. L’Asia
centrale e l’Afghanistan divennero teatro del «grande gioco» dell’impero e
dell’espansione coloniale, e gli inglesi arrivarono addirittura a considerare la Russia,
sebbene in modo irrealistico, come una minaccia per l’India britannica.
L’espansione russa, sulla spinta di stimoli economici e necessità di difesa, fu favorita
dalla mancanza di confini e di una potente opposizione. Ma se, come per la Gran