Page 25 - Nietzsche - Genealogia della morale
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Prefazione
1.
Noi che ricerchiamo la conoscenza, ci siamo sconosciuti, noi stessi ignoti a noi stessi, e la
cosa ha le sue buone ragioni. Noi non ci siamo mai cercati, e come avremmo mai potuto, un
bel giorno, trovarci? Si è detto e a ragione: «Dove è il vostro tesoro, è anche il vostro cuore»,
il nostro tesoro si trova dove sono gli alveari della nostra conoscenza. E per questo siamo
sempre in movimento, come veri e propri animali alati e raccoglitori di miele dello spirito,
preoccupati in realtà solo e unicamente di una cosa, di «portare a casa» qualcosa. Di fronte
alla vita, poi, e a quello che concerne le cosiddette «esperienze», chi di noi mai ha anche solo
la serietà necessaria? O il tempo necessario? Di queste cose, temo, non ci siamo mai
veramente «occupati», infatti il nostro cuore è altrove, e anche le nostre orecchie! Simili
piuttosto a chi, divinamente distratto e immerso in se stesso ha appena avuto le orecchie
percosse dal suono della campana che con tutta la sua forza ha annunziato il mezzogiorno con
dodici rintocchi, e si sveglia all’improvviso e si chiede «che suono è mai questo?», così noi,
di quando in quando, dopo, ci stropicciamo le orecchie tutti sorpresi e imbarazzati e
chiediamo «che cosa mai abbiamo realmente vissuto?» o ancora «chi siamo noi in realtà?» e
contiamo solo dopo, come si è detto, tutti e dodici i frementi rintocchi della nostra esperienza,
della nostra vita, del nostro essere – ahimè – e sbagliamo a contare... Infatti necessariamente
rimaniamo estranei a noi stessi, non ci capiamo, dobbiamo scambiarci per altri, per noi vale
per l’eternità, la frase «ognuno è per se stesso la cosa più lontana», noi non ci riconosciamo
come gente che «ricerca la conoscenza»...
2.
I miei pensieri sull’origine dei nostri pregiudizi morali poiché di essi si tratta in questa
operetta polemica – sono stati espressi la prima volta, in modo preliminare e succinto, in
quella raccolta di aforismi che va sotto il titolo di «Umano, troppo umano. Un libro per spiriti
liberi», la cui composizione ebbe inizio a Sorrento in un inverno che mi concessi di arrestarmi
un attimo, come si arresta il viandante, per misurare con lo sguardo la terra vasta e pericolosa
che il mio spirito aveva appena finito di percorrere. Questo accadeva nell’inverno 1876-1877;
i pensieri stessi sono più antichi. Essenzialmente erano già gli stessi pensieri che riprendo qui
in questi saggi – e speriamo che il lungo intervallo abbia fatto loro del bene, che siano
diventati più maturi, più chiari, più robusti e più completi. Il fatto però che io ancora oggi non
li abbia abbandonati, e che essi siano addirittura cresciuti e concresciuti gli uni negli altri
legandosi sempre più strettamente insieme, rafforza in me la lieta fiducia che sin dagli inizi
essi non siano nati in me isolatamente, arbitrariamente e sporadicamente, ma da una radice
comune, da una volontà fondamentale della conoscenza che esercita il suo dominio nel
profondo, che parla in modo sempre più definito, che esige cose sempre più definite. Questo
soltanto infatti si addice a un filosofo. Non abbiamo nessun diritto di essere isolati in