Page 127 - Peccato originale
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quindi ipotizzabile che il prelato gestisse anche i conti
riferibili al pontefice e al suo primo assistente, o che
utilizzasse questi depositi, a loro fittiziamente intestati,
per far circolare denaro imbarazzante. Entrambe le
possibilità sono inquietanti e replicano la stessa identica
situazione che abbiamo incontrato vent’anni prima, con la
premiata coppia Marcinkus-De Bonis e quelle strane
movimentazioni su conti attribuiti a monsignor Macchi,
fidato segretario particolare di Paolo VI. La contiguità, che
questi documenti adombrano, tra i pontefici (Paolo VI
prima e ora Giovanni Paolo II) e i peggiori vertici dello
Ior, appunto Marcinkus e De Bonis, impone una rilettura
unitaria dei rapporti tra la banca degli scandali e
l’appartamento pontificio. È solo una mera coincidenza o,
invece, la prova di un costume che è andato avanti per
decenni senza che nessuna riforma potesse sradicarlo?
Perché – è bene evidenziare – anche nel caso minore,
ovvero nell’ipotesi di un millantato credito, c’è da
chiedersi perché persone spregiudicate potevano utilizzare
conti attribuiti al papa e al suo segretario personale senza
che nessuno smascherasse questo malaffare,
inevitabilmente foriero di scandali.
L’opera di Caloia è di certo meritoria. Giorno dopo
giorno, però, si rivela la classica goccia d’acqua pulita in
un oceano di denaro dalle origini ben poco chiare. Il
presidente non aveva né gli strumenti né l’autorevolezza
per riuscire a imporsi, per far recepire quella necessità di
trasparenza che tanto veniva ostentata pubblicamente.
Marcinkus incontrava più volte Wojtyła, si confrontava
con lui sulle necessità anche finanziarie del popolo polacco
tanto caro al pontefice. Caloia per vedere il papa doveva
attendere le cerimonie ufficiali. Intanto fiumi di denaro
continuavano ad arrivare all’istituto nelle forme più
disparate e imprevedibili, rendendo impossibile un reale
controllo. Il presidente dispose l’informatizzazione di tutti
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