Page 40 - 101 storie di gatti
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                             COLOMBO E I PRIMI GATTI


                             CHE HANNO


          ATTRAVERSATO L’ATLANTICO





          Cristoforo Colombo volle su ognuna delle tre caravelle due gatti, un maschio e una

          femmina: si sarebbero così moltiplicati e avrebbero difeso meglio la cambusa e le
          merci. Dopo Maine la Vichinga, ecco che altri felini si apprestano a un lungo viaggio
          per mare al di là dell’Atlantico, dove avrebbero dato vita a nuove razze,
          incrociandosi anche con il loro cugino selvatico, la lince. Portare dei felini, con la

          loro relativa cucciolata nata tra le onde dell’Oceano, era un obbligo. Al punto che ai
          capitoli 65 e 66 dell’antico testo di leggi del Consolato del mare (tradizione
          giuridico marittima del Mediterraneo, in uso sin dal Trecento) c’era scritto che ogni
          comandante di bordo aveva il “dovere di procurarsi gatti”, affinché i topi non
          danneggiassero il carico. Veniva inoltre precisato nella normativa che se i roditori
          avessero guastato la merce prima che il comandante si fosse procurato i gatti e

          mentre la nave era ancora in porto, non doveva pagare i danni: ma se il sinistro fosse
          avvenuto durante la navigazione e si fosse provato che i gatti non erano stati
          imbarcati, allora il comandante non solo doveva risarcire personalmente tutto il
          carico rovinato, ma finiva anche sotto processo per “gravissima colpa nautica”.
              Una volta a bordo, e di solito in gran numero, i gatti venivano affidati a un
          nostromo in seconda detto u penéise, il pennese, il quale oltre la responsabilità di
          cime, nodi e vele, aveva quella di star dietro – pena il licenziamento – alle

          miagolanti e unghiute creature, solitamente molto poco amanti dall’acqua in genere.
          Doveva tenerli calmi in caso di tempesta ed evitare che cadessero in mare; badare
          che avessero sempre la loro razione di cibo, premiarli ogni volta che prendevano un
          topo, occuparsi della loro salute, difenderli dagli scherzi dell’equipaggio e
          soprattutto, ogni volta che si arrivava a un porto, radunarli e chiuderli in un posto
          sicuro all’interno del bastimento onde evitare che scappassero, rifugiandosi sulla

          terra ferma. E ammettiamolo, doveva essere un vero spettacolo vedere il pennese,
          prima di ogni attracco, lanciarsi all’inseguimento di una ciurma di gatti che
          velocissimi s’infilavano nei pertugi della coffa, si nascondevano sotto pile di cime o
          s’arrampicavano sugli alberi del veliero. Proprio come accadde sulle caravelle di
          Cristoforo Colombo.
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