Page 85 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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dalle  sedici  e  trenta  di  giovedì  16  dicembre,  ora  in  cui  il  generale  Niazi  aveva

          firmato gli atti della resa, essi erano prigionieri di guerra dell’esercito indiano, ma
          nessuno intendeva umiliarli, privarli dei loro privilegi e dei loro diritti. Sarebbero
          stati trattati da gentiluomini, secondo la Convenzione di Ginevra, avrebbero ricevuto
          la  posta,  le  visite,  lo  stipendio  mensile,  e  avrebbero  potuto  pregare Allah  cinque
          volte  al  giorno  secondo  le  abitudini.  Ora  gettassero  le  rivoltelle.  Le  gettarono,
          insieme ai pacchetti delle pallottole, alcuni insieme al frustino, poi si sciolsero e

          ripresero a chiacchierare come Surajit e Mustafà. Si conoscevano quasi tutti, come
          Surajit e Mustafà. Specialmente i più vecchi, col grado di colonnello in su. Quasi
          tutti  avevano  studiato  nelle  stesse  scuole,  nelle  stesse  accademie  fondate  dagli
          inglesi, ad esempio l’Accademia militare indiana di Wellington.
               Insieme  avevano  fatto  la  Seconda  guerra  mondiale,  avevano  combattuto  in
          Africa,  in  Italia,  in  Birmania.  E  quando  gli  inglesi  se  n’erano  andati,  nel  1947,

          dividendo il subcontinente in tre parti, Pakistan occidentale-India-Pakistan orientale,
          le nuove nazioni s’erano costruite gli eserciti coi reggimenti lasciati dagli inglesi,
          con gli ufficiali formati dagli inglesi. Uomini che usavano dormire insieme, mangiare
          insieme,  esercitarsi  insieme,  per  la  stessa  bandiera,  s’eran  separati  per  servire
          bandiere diverse e nemiche. Un dramma? Macché. Il loro era il caso dei calciatori

          che per anni stanno nella stessa squadra, a giocare le stesse partite contro gli stessi
          avversari, e d’un tratto vengon trasferiti a squadre diverse e rivali: tu al Milan e io
          all’Inter. Se il tuo mestiere è quello di calciatore, cosa t’importa di appartenere al
          Milan o all’Inter? Ti importa di segnare i gol. La guerra, loro, la vedevano come un
          mestiere:  un  mezzo  per  segnare  i  gol.  Erano  professionisti.  E  da  professionisti
          s’erano ammazzati per quindici giorni: fino a Dacca. Da professionisti, e quindi da
          colleghi, s’eran ritrovati dopo diciotto giorni: su quel prato di Dacca. A recitare la
          farsa  di  un  cerimoniale  svanito,  di  una  morale  tramontata:  qua-la-mano-sei-uomo-

          d’onore, siamo-cavallereschi-in-un-rispetto-reciproco. Il fatto straordinario è che la
          nuova nazione detta Bangladesh sia sorta da una guerra combattuta con uno stile che
          non usa più.  Una guerra da museo.  Il fatto paradossale è che né vinti né vincitori
          abbiano compreso il terremoto da essi avviato.

               Il trionfo degli indiani, la fine del Pakistan orientale, la nascita del Bangladesh,
          hanno acceso una miccia che rischia davvero di condurre a un conflitto mondiale o
          almeno a quello definitivo tra Unione Sovietica e Cina. Sia russi che cinesi vogliono
          il subcontinente, sia russi che cinesi vogliono l’Oceano Indiano, sia russi che cinesi
          vogliono lo stretto del Bengala. E se la Russia aveva bisogno che l’India assorbisse
          il Pakistan orientale, la Cina ha bisogno che al di qua dell’Himalaya esistano nazioni
          a  lei  amiche.  Ha  bisogno  dell’Assam,  del  Sikkim,  della  Birmania,  ha  bisogno

          soprattutto  del  Bengala  che  è  aperto  sul  mare.  Anzi  i  due  Bengala:  il  Bengala
          orientale  che  ora  si  chiama  Bangladesh  e  il  Bengala  occidentale  che  fa  parte
          dell’India.  Per  averli  però  non  si  serve  degli  ufficiali  usciti  dall’Accademia  di
          Wellington,  si  serve  del  terremoto  avviato  dagli  ufficiali  dell’Accademia  di
          Wellington: cioè della guerra rivoluzionaria che i pakistani hanno provocato coi loro
          massacri e che gli indiani hanno sorretto coi loro Mukti Bahini. Militarmente sono
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