Page 83 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
P. 83
«La guerra, loro, la vedevano come un mestiere: un mezzo per segnare i gol. Erano
professionisti.»
DACCA, GENNAIO. E così ora si davan la mano, gli ufficiali pakistani e indiani, i vinti
e i vincitori. Si scambiavano abbracci e congratulazioni. Conversavano amabilmente
sul prato. Disinvolti, mondani, impeccabili nelle uniformi stirate. «Caro generale,
caro colonnello. Vi siete battuti bene, sì, ma vi siete battuti bene anche voi. Ci avete
dato del filo da torcere, sì ma ce lo avete dato anche voi.» Neanche fossero stati a
una partita di calcio anziché a una guerra dove s’eran scannati senza pietà e avevan
massacrato migliaia di creature. Poco lontano i morti si decomponevano al sole. Gli
avvoltoi vi piombavano sopra a strapparne brandelli, occhi, intestini, e i cani ne
divoravano i piedi, gli orecchi, le labbra: in uno spettacolo irriferibile, atroce. Da
quasi ogni casa si alzavano urla di donne cui avevano detto che un cadavere appena
scoperto era il loro figlio, il loro marito, il loro fratello. Per le strade i Mukti Bahini
sfogavan vendetta linciando chiunque sembrasse un nemico: scavalcavi corpi con
gole tagliate, lingue strappate, tendini recisi. Sulla città distrutta, priva di governo, di
legge, di pane, di acqua pulita, di mezzi di comunicazione, si levava il pericolo della
pestilenza. E quelli si davan la mano, si scambiavano abbracci e congratulazioni,
conversavano amabilmente sul prato. Ecco il dialogo, captato col magnetofono, tra
un maggiore pakistano di nome Mustafà e un maggiore indiano di nome Surajit.
Trascrivo le parole una a una, tali e quali le ritrovo sul nastro. A renderlo completo
non mancano che le prime battute: infatti cominciai a registrare solo dopo avere
notato i due che si salutavano con particolare effusione, parlando in inglese.
«… Sorpresa gradita.»
«Posso dire lo stesso, Surajit.»
«Ti vedo bene, sai. Hai un’ottima cera e non sembri nemmeno stanco.»
«Nessuno di noi era stanco, Surajit, e ti dirò: non mi sento sconfitto. Non che
intenda minimizzare il vostro successo, ma come potrei sentirmi sconfitto dal
momento che non ho combattuto?»
«Hai ragione. Di’ un po’, Mustafà: ti aspettavi che Niazi si arrendesse?»
«Io? Guarda, l’ordine mi lasciò sbalordito. Capisci, le nostre armi erano intatte.
Avremmo potuto combattere senza problemi, e darvi l’inferno.»
«Un po’ di inferno ce l’avete dato, Mustafà. In tre giorni ho perso quarantasei
uomini. Sempre in gamba, eh? Sempre bravi.»
«Anche voi, anche voi. Avete un ottimo esercito anche voi, e la vostra aviazione