Page 84 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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ha fatto faville. Ce ne avete buttate di bombe! Mi avete fatto fuori quasi una
compagnia.»
«Ma tu a Dacca quando arrivasti, Mustafà?»
«In marzo.»
«In tempo per i massacri, dunque.»
«Guarda, io di massacri non ne ho mai visti. So che una parte delle nostre forze
era utilizzata per controllare la situazione ma escludo che ciò sia avvenuto col
terrore. Siamo gente corretta e lo sai. Pensa: uno dei miei soldati fu sorpreso con un
pacchetto di sigarette bengalesi. Finì alla corte marziale e si fece sei mesi.»
«Mustafà, io non parlo di sigarette. Parlo di gente ammazzata. Ne avete fatti fuori
parecchi, accidenti. Io prima non ci credevo, ma poi ho visto coi miei occhi e… Ci
avete dato dentro un po’ troppo.»
«Be’, una certa confusione c’è stata. E qualche malinteso. Ma nulla di eccessivo,
sai. I cadaveri che vedi non son mica di gente eliminata da noi. Questi si ammazzan
tra loro, credimi. Non è giusto buttar la colpa su noi.»
«Se non è giusto dimmi perché, quando sono entrato a Dacca, mi hanno soffocato
di baci e di abbracci. Suvvia, Mustafà!»
«Surajit, quella è gente che applaude chi arriva. Ti giuro che se rientrassimo noi
pakistani ci accoglierebbero nello stesso modo. Io avevo un mucchio di amici tra i
bengalesi, potrei accompagnarti in un mucchio di famiglie dove andavo a cena.»
«Così per cena cuocerebbero te! Mustafà, siamo onesti. Il fatto è che siamo
soldati e quando riceviamo un ordine, ubbidiamo. Avete ricevuto ordini di
ammazzare e avete ammazzato. Né più né meno come facciamo noi.»
«Be’, la guerra è guerra, Surajit.»
«Qui volevo arrivare, e non parliamone più. È finita.»
«Eh, già. Finita. Tua moglie sta bene, e i bambini?»
«Sì, sì. Tutto a posto. E la tua famiglia?»
«Mi mancano notizie da un mese. Tò, è arrivato il tuo generale. Andiamo a
consegnare le armi. Però mi dispiace regalarvi la mia rivoltella. C’ero affezionato.»
«Cinese?»
«Sì, cinese. È ottima, sai.»
«La mia è russa. Naturalmente. Be’, addio, Mustafà. Spero di rivederti in
un’occasione migliore. Ma vedrai che la prigionia durerà poco. E noi indiani siamo
gentili coi prigionieri.»
«Lo so, lo so. Addio, Surajit. E di nuovo congratulazioni, eh?»
«Anche a te, anche a te.»
Tra indiani e pakistani saranno stati un migliaio. Trecento gli uni, settecento gli
altri: controllati dalle pattuglie indiane nascoste dietro gli alberi, col fucile puntato.
A un ordine dato con l’altoparlante formarono un grande quadrato, un lato per i
vincitori e tre lati per gli sconfitti, poi si irrigidirono in posizione d’attenti e il
generale Nagra avanzò. Con voce eccessivamente cortese ricordò agli sconfitti che