Page 110 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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volantini, le cassette sul cui nastro i mullah hanno inciso le loro proteste e le loro

          maledizioni.
              «Sono cassette identiche alle cassette che durante il regno dello scià giravano a
          Teheran, a Tabriz, a Isfahan, a Shiraz,» spiega colui che ho chiamato Khalid «e per
          ora vengono distribuite di nascosto o vendute sottobanco nei bazar. Ma non si faccia

          illusioni: diventeranno sempre meno segrete.  Prima o poi quelle proteste e quelle
          maledizioni  caleranno  dai  tetti  a  terrazza  come  succedeva  a  Teheran,  a  Tabriz,  a
          Isfahan, a Shiraz.»
               Inutile  controbattere  che  gli  americani  e  gli  europei  sono  venuti  a  morire  per
          loro, per i loro dannati pozzi di petrolio, per la loro incolumità, quindi se gli stanno
          antipatici  dovevano  pensarci  prima.  Inutile  replicare  che  le  guerre  si  sa  quando

          incominciano  e  mai  quando  finiscono,  che  non  tengono  conto  dei  Natali  e  dei
          Ramadan, che per farle non si sparano cioccolatini ma esplosivi che uccidono, che
          trenta  giorni  di  guerra  son  pochi  anzi  pochissimi,  e  l’Iraq  non  è  Panama,  non  è
          Grenada.  Inutile  protestare  che  se  gli  alleati  bombardano  Baghdad  gli  iracheni
          lanciano gli Scud sull’Arabia Saudita e Israele, ci annunciano le bombe chimiche, ci
          aizzano il terrorismo, promettono di farci nuotare nel nostro sangue.

               È altrettanto inutile ricordare che Saddam Hussein è un dittatore alla Hitler, un
          uomo  spietato,  un  essere  pericoloso  per  tutta  la  comunità  internazionale  e  in
          particolare per chi ha la disgrazia di vivergli accanto, quindi questa guerra dentro la
          guerra è tanto illogica quanto ingrata. Se ne rende conto da solo.
              «So benissimo» risponde «che i miei discorsi possono apparire ingrati, privi di

          logica e addirittura ingenui.  Ma la realtà è quella che le ho esposto, e se potesse
          leggere  dentro  la  mente  del  mio  re,  ci  troverebbe  pensieri  molto  simili  ai  miei.
          Siamo arabi, noi, e arabi di un Paese che è il punto focale dell’Islam. La Mecca è
          qui, Medina è qui: tra un figlio di cane mussulmano e un figlio di cane cristiano o
          ateo il nostro cuore sceglierà sempre il figlio di cane mussulmano. Tra un fratello
          pericoloso  e  uno  straniero  amico,  opterà  sempre  per  il  fratello  pericoloso.

          Comunque io non credo che gli americani e gli europei siano venuti a morire per noi,
          per i nostri dannati pozzi di petrolio, per la nostra incolumità. Sono venuti a morire
          per se stessi, per i loro interessi, per i loro Paesi, cioè per rifar le Crociate, stabilire
          in questa parte del mondo la supremazia che hanno sempre cercato, e a invitarli noi
          sauditi abbiamo fatto un passo falso. Siamo scivolati sulla buccia di banana da cui
          eravamo sempre riusciti a tenerci lontano. Questo non è un conflitto tra noi e l’Iraq.
          È una Crociata tra noi e voi, tra il vostro sistema di vita e il nostro, tra la nostra

          religione e la vostra. E siamo appena al primo round.» Poi si asciuga una lacrima e
          conclude: «Vuol sapere come finirà il primo round? Sia pure a costo di molti morti,
          forse  tutti  i  morti  che  da  un  mese  cercano  di  evitare  bombardando  l’Iraq,  gli
          occidentali vinceranno. Il Kuwait tornerà al Kuwait. Baghdad e Bassora e le altre
          città  distrutte  verranno  ricostruite  dagli  americani  nel  modo  in  cui  gli  americani

          ricostruirono in Germania le città distrutte dai bombardamenti della Seconda guerra
          mondiale.  L’Iraq  verrà  risollevato  dalla  calcolata  generosità  di  un  nuovo  piano
          Marshall.  Qualcuno  in  Siria  o  in  Egitto  o  in  Iran  prenderà  il  posto  di  Saddam
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