Page 114 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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Da questa guerra torno con una ferita che non si vede. Perché non è una ferita esterna,
una ferita che sanguina e lascia una cicatrice sulla pelle. È una ferita nascosta dentro
i miei polmoni, una ferita che si rivelerà chissà quando. Tra sei mesi, tra un anno, tra
due? Me la sono procurata a ottanta chilometri da Kafji, insieme a tre Marines della
First Division e a chissà quante altre persone che in quel momento si trovavano nella
zona, e a infliggermela è stata un’arma nuova. Un’arma che non avevo mai trovato
nelle guerre di cui sono stata testimone e cronista nel corso della mia vita. La Nuvola
Nera. Cioè l’immensa massa di fuliggine che da metà febbraio si leva dalle fiamme
dei pozzi incendiati. Tornavamo da Kuwait City, io e i tre Marines della First
Division. E poiché il vento soffiava come sempre a nord-ovest, vale a dire verso
l’Iran, l’aria non era proprio irrespirabile. Puzzava il solito puzzo di benzina e basta.
Ottanta chilometri dopo Kafji, però, ha fatto mulinello. S’è messo a soffiare in
direzione sud-est, ha portato la Nuvola Nera da noi, e il nostro camion c’è entrato
dentro: s’è tuffato in un buio così buio che l’autista non vedeva più dove andava e
pur accendendo i fari ha dovuto continuare a passo d’uomo. Siamo rimasti in quel
buio per circa mezz’ora, accecati, asfissiati da un puzzo sempre più nauseabondo
(puzzo d’uova marce, m’è parso), e quando abbiamo rivisto la luce facevamo pietà. I
nostri occhi lacrimavano, la nostra gola bruciava, il nostro petto doleva, il nostro
stomaco voleva vomitare il panino mangiato alla partenza, e non riuscivamo quasi a
star zitti. Eravamo anche molto sporchi, sembravamo tre maschere di pece, e perfino
la nostra lingua appariva nera. Infatti l’autista ha esclamato: «By God! If outside
we’re like that, what do we have inside the lungs? Perdio! Se fuori siamo ridotti a
questo modo, dentro i polmoni che abbiamo?». Diagnosticando un caso di
intossicazione, l’ufficiale medico della base che la First Division tiene ad Al Jubail
s’è preso i tre Marines e se l’è portati all’infermeria. Io invece ho proseguito per
Dahran dove tra l’altro ho avuto un violentissimo attacco d’asma, e da allora mi
sento male. Gli occhi continuano a lacrimare, la gola continua a bruciare, il petto
continua a dolere come quando si ha la bronchite, e respiro sempre a fatica. Ecco
perché.
Sono almeno seicentotrentacinque i pozzi che ardono nel Kuwait (alcuni
sostengono novecento o mille ma contarli con precisione è impossibile per via del
calore terrificante che impedisce di avvicinarsi) e ogni giorno vanno in fumo almeno
tre milioni di barili di greggio. E col fumo entrano nell’aria quantità mostruose di gas
letali: etano, propano, butano, pentano, zolfo che quel petrolio contiene nella misura
del 2,5 per cento, ossidi di carbonio, ossido di diazoto, acido solfidrico, anidride
solforosa, nonché particelle metalliche composte di nichel, di ferro, di zinco, di
pirrolo, di carbazolo, di indolo, di arsenico. E tutta questa roba, ovviamente carica
di agenti cancerogeni, finisce nei polmoni poi nel sangue di chi la respira. Dice il
dottor Mohammed Bakr Amin che a Dahran dirige il Research Institute della King
Fahd University of Petroleum and Minerals: «Tanto per darle un esempio, pensi che
il corpo umano può sopportare 365 microgrammi a metro cubo di anidride solforosa
ogni ventiquattr’ore. E dal modulo matematico che noi abbiamo fatto per calcolare la
tossicità dell’atmosfera, risultano i seguenti dati. A Safaniya, 1258 microgrammi; a