Page 115 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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Zuluf, 1480; a Jaladi, 1591; ad Ahmadi, 2108; a Kuwait City, 2191; a Kafji, 3013; a
Falayakan, 3252; a Luhais, 5194; a Bassora, 5940; a Mina Saud, dove si trova la
maggior parte dei pozzi, 10.665. Ma non ogni ventiquattr’ore: ogni ora. È lecito
dunque prevedere un’esplosione di malattie polmonari e cardiache, uno
sproporzionato moltiplicarsi del cancro, e disturbi gravissimi sul sistema nervoso e
sul cervello». Aggiunge il dottor Shanta Al Khatieb, direttore dell’ufficio Terre aride
e deserto: «Il dottor Bakr Amin ha ragione. Ogni giorno quei pozzi esalano mille
tonnellate di zolfo e altrettante di veleni immediati come l’arsenico e la diossina. Io
sono molto preoccupato per i bambini, per i vecchi, per coloro che hanno già il
cancro o malattie polmonari e cardiologiche, e raccomando alla gente di stare in
casa o partire. Guardi, a mio parere questo disastro supera quello di Chernobyl. A
mio parere è una catastrofe paragonabile solo ai grandi perturbamenti che si
verificarono nella preistoria, cioè prima che questo pianeta si assestasse e la Vita
incominciasse. La Nuvola Nera ha già investito l’Iran. Presto investirà il Pakistan,
l’India, la Cina, e non mi meraviglierei se investisse anche il Mediterraneo e
l’Europa».
Naturalmente il rischio dipende dalla pressione con cui i gas erompono, dalla
direzione e dalla velocità dei venti che li trascinano, dalla durata degli incendi. Ma
la pressione è altissima, tonnellate e tonnellate ogni centimetro quadrato, e i venti
che di regola soffiano a nord-ovest possono soffiare a sud-est come accadde il
giorno in cui viaggiavo coi tre Marines. Peggio: in genere quei venti vanno a sedici
nodi, velocità che tiene la Nuvola Nera a un’altezza di millecinquecento o duemila
metri, ma negli ultimi giorni sono andati anche a trenta nodi. E a quella velocità
possono portare la Nuvola Nera a settemila o ottomila metri dove vi sono correnti
capaci di spingerla fino al Mediterraneo e all’Europa. Quanto alla durata degli
incendi, il dottor Bakr Amin è pessimista: «Tre anni, cara amica, tre anni. Perché?
Semplice. Quel fuoco non è stato appiccato da una soldataglia rozza e inesperta: è un
lavoro compiuto da ingegneri che conoscevano il proprio mestiere, da gente che ha
collocato la dinamite nei punti in cui si trovano le valvole di sicurezza. Cioè a
trecento o cinquecento o mille metri di profondità. Per spegnere bisogna dunque
trivellare presso ogni pozzo in fiamme un altro pozzo inclinato, vale a dire diretto
verso la valvola rotta, oppure un altro pozzo verticale che a un certo punto diventa
orizzontale e raggiunge la valvola rotta. Poi bisogna iniettare in quest’ultima grosse
quantità di cemento, otturare il pozzo, e… E poiché i documenti relativi alla
profondità delle varie valvole sono stati distrutti da quegli ingegneri, ci vorrà un
mucchio di tempo per sostituirli attraverso i nostri calcoli. Senza contare che i nuovi
pozzi andranno trivellati a poche centinaia di metri dai pozzi in fiamme, che a quella
distanza il calore è insopportabile, che dovremo dunque raffreddare ogni punto con
getti d’acqua fredda, che sarà necessario diminuire ogni incendio facendo scoppiare
cariche esplosive sopra la bocca di ciascun pozzo, che intorno a ciascun pozzo il
deserto è minato. Tre anni, cara amica, tre anni». Tre anni. «Che cosa ci accadrà in
quei tre anni?» chiedo al dottor Walter Vreeland, direttore dell’Environment Project
nel Bahrein. «Non lo so» risponde il dottor Vreeland. «Però posso dirle che cosa ci