Page 158 - Oriana Fallaci - Solo io posso scrivere la mia storia
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attaccata con le due mani alla maniglia… «Hanno ragione, accidenti ai vecchi,
piaccia a Dio che tu non lo diventi mai!» 28
***
Io non ho mai capito la morte. Non ho mai capito chi dice la morte è normale, la
morte è logica, tutto finisce quindi anch’io finirò. Io ho sempre pensato che la morte
è ingiusta, la morte è illogica, e non dovremmo morire dal momento che si nasce.
Non ho mai capito nemmeno chi dice: in realtà non muori, diventi una cosa diversa,
diventi un ciuffo d’erba, un sorso d’aria, una pozza di acqua: e da erba, da aria, da
acqua, nutri un pesce un uccello un altr’uomo, poi vivi attraverso di loro. Non l’ho
mai capito perché essere viva, per me, significa muovermi dentro questo corpo,
dentro questo pensiero: e allora cosa mi importa di diventare marziana su Marte,
venusiana su Venere, andromediana su Andromeda? Questi tentacoli che chiamano
braccia, gambe, dita, son brutti? E cosa m’importa se sono brutti? Sono i soli che
conosco, i soli che ho, e non ne voglio altri. Voglio queste braccia, queste gambe,
queste dita, voglio questa Terra! Questa Terra è una prigione? Va bene. Ci sto a mio
agio in questa prigione, è calda e sicura come un ventre materno, è il mio ventre
materno […]. Ma il ventre materno non ti tiene mica per sempre. Se ti tiene per
sempre ci muori, e muore anche lui. Il ventre materno ti tiene fino a quando sei fatto,
e quando sei fatto ti sputa, ti vomita a forza in un mondo che non immaginavi
neanche. Magari non lo volevi vedere quel mondo: stavi bene rannicchiato nel
ventre, a quel caldo. Non duravi fatica a mangiare, non duravi fatica a dormire, tua
madre faceva tutto per te. La sua pelle, i suoi tessuti ti proteggevano più di una
corazza, più dell’atmosfera che circonda la Terra e respinge i meteoriti, altre insidie.
E tuttavia fosti costretto a lasciarlo, quel ventre, fosti costretto ad assumere la forma
di un corpo che non immaginavi neanche, a mangiare in modo diverso, a dormire con
tanta fatica, a proteggerti con tanta pena. E non fu un abuso importi quel
cambiamento, neanche una crudeltà: fu l’unico modo per continuare la vita. E l’unico
modo che la Terra ha per vivere è sputarti via, vomitarti nel cielo, al di là
dell’atmosfera, in quei mondi che non sai immaginare e che a loro volta ti sputeranno
via in altri mondi… 29
Non ce l’ho [paura della morte, N.d.R.]. La conosco troppo bene. La conosco fin da
bambina, quando correvo sotto le bombe della Seconda guerra mondiale e
scavalcavo i corpi della gente che non aveva corso abbastanza. La conosco perché
l’ho frequentata troppo, ahimè. In troppi luoghi e in troppe maniere. Al Messico, per
esempio, quando m’accadde quel che si sa. In Vietnam, in Cambogia, in Bangladesh,
in Giordania, in Libano, quando facevo il corrispondente di guerra e mi trovavo
sempre in qualche combattimento o in altre situazioni terrorizzanti. Nel mio cuore,
quando ammazzarono Alekos Panagulis e quando il cancro si portò via mia madre
poi mio padre poi mia sorella Neera nonché lo zio Bruno. Infine ora, grazie alla
malattia e a coloro cui avermi criminalizzato anzi demonizzato non basta. Voglio