Page 453 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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a  noi  mi  sembra  marcato  da  una  inevitabile  nostalgia  anzi  da  un
          inevitabile bisogno di religiosità. E, come la religione, la religiosità  nisce

          sempre  col  rivelarsi  il  veicolo  più  semplice  (se  non  il  più  facile)  per
          arrivare alla spiritualità.
             Chiusa la nuova parentesi.




























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             E  così  ci  incontrammo,  io  e  questo  gentiluomo  intelligente.  Senza
          cerimonie,  senza  formalità,  tutti  soli  nel  suo  studio  di  Castel  Gandolfo
          conversammo e l’incontro non-professionale doveva restare segreto. Nella
          mia ossessione per la privacy, avevo chiesto che così fosse. Ma la voce si
          di use  ugualmente.  Come  una  bomba  nucleare  piombò  sulla  stampa

          italiana, e indovina ciò che un petulante idiota con requisiti accademici
          scrisse  su  un  noto  giornale  romano  di  Sinistra.  Scrisse  che  il  Papa  può
          vedere  quanto  vuole  «i  miserabili,  gli  empi,  i  peccatori,  i  mentalmente

          malati» come la Fallaci. Perché «il Papa non è una persona perbene». (A
          dispetto  di  ogni  dizionario  e  della  stessa  Accademia  della  Crusca,  il
          «perbene» scritto «per bene».) Del resto, e sempre pensando a Tocqueville,
          alla  sua  invisibile  ma  insuperabile  barriera  dentro-la-  quale-si-può-
          soltanto-tacere-o-unirsi-al-coro, non dimentico mai quello che quattro anni

          fa accadde qui in America.
             Voglio  dire  quando  l’articolo La  Rabbia  e  l’Orgoglio  (non  ancora  libro)
          apparve  in  Italia.  E  il  «New  York  Times»  scatenò  la  sua  Super  Political
          Correctness con una intera pagina nella quale la corrispondente da Roma

          mi  presentava  come  «a  provocateur»  una  «provocatrice».  Una  villana
          colpevole  di  calunniare  l’Islam…  Quando  l’articolo  divenne  libro  e
          apparve  qui,  ancora  peggio.  Perché  il  «New  York  Post»  mi  descrisse,  sì,
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