Page 326 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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regalano uova fresche, ma il dannato gas mi spaventa a morte.
Posso sopportare tutto, io; fuorché il dannato gas.») D’accordo, per
neutralizzare la bravura che gli iracheni dimostrano nella guerra difensiva
li ha addestrati no all’esasperazione e ora i soldati americani sono
all’altezza dei mitici Desert rats, cioè gli inglesi del Royal Scots. Però
restano soldati che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno mai
visto una guerra, al massimo hanno partecipato alle spedizioni punitive di
Panama o di Grenada. E se riesci a superare gli ostacoli che sono stati
in itti alla stampa, parlarci un minuto, odi sempre la medesima frase: «I
did not enroll to make the war, I don’t know the war». «Io non mi sono
arruolato per fare la guerra, io non conosco la guerra». Quanto alle
perdite per il «friendly re» qualsiasi giornalista che è stato in Vietnam vi
racconterà che in quella guerra un terzo dei 57 mila morti americani sono
niti al cimitero per i colpi di mortaio o le ra che di mitra o le
cannonate sparate in eccesso o per sbaglio dai loro stessi compagni. In
Arabia, lo stesso. Dunque che senso avrebbe sacri carne con l’attacco
super uo, lo sbarco super uo? Meglio: quali sono le probabilità che
quell’attacco e quello sbarco non avvengano?
Molte, esclamano i sostenitori della tesi interessante (solito, militari ben
informati).
E ciò anche nel caso che Saddam Hussein ri uti il piano di Gorbaciov
berciando di voler combattere no all’ultima stilla di sangue, o nel caso
che il Consiglio di Sicurezza non ritenga quel piano accettabile. A
favorirla infatti non v’è soltanto la personalità di Schwarzkopf: v’è
l’obiettiva realtà d’un esercito iracheno che, lungi dal voler combattere
no all’ultima stilla di sangue, ha una gran voglia di arrendersi o di
ritirarsi. «Proprio così, cara amica. Saddam se ne frega dei suoi soldati.
Ma i suoi generali, no. E come la truppa non vedono l’ora di lasciare il
Kuwait, fare dietro-front e tornare in Iraq. O addirittura consegnarsi agli
Alleati per godersi un bel pasto caldo e tenersi al riparo dalle bombe. Chi
ce lo dice? Semplice: le intercettazioni radio, l’ascolto che gli
equipaggiamenti elettronici compiono attraverso i satelliti e gli Awacs.
Sia a Bagdad che a Kuwait City, sia a Bassora che a Kirkuk o a Mosul,
non v’è militare o civile iracheno che possa parlare senza essere ascoltato
da noi. Captiamo ogni messaggio, ogni telefonata, ogni frase di rivolta,
ogni progetto.» Ed è vero. Ieri ne ho chiesto conferma a due u ciali e uno
mi ha risposto: «Che c’è di straordinario? Le intercettazioni radio sono
sempre state la nostra specialità, e i nostri sistemi di intercettazione oggi
sono i migliori del mondo, e a maneggiarli abbiamo migliaia di specialisti,
soprattutto egiziani». L’altro mi ha risposto: «Bah, sull’esercito iracheno
ne sappiamo assai più di Saddam. E forse ne sappiamo troppo. Dico