Page 317 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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La guerra invisibile dei mullah
«Io mi chiedo per chi pregherà, il popolo saudita, nei giorni del
Ramadan: per gli americani e gli europei schierati con gli americani, per i
propri soldati e i kuwaitiani, gli egiziani e i siriani schierati: per gli
americani e gli europei, oppure per Saddam Hussein? Gli americani non
stanno facendo una guerra di liberazione, stanno facendo una guerra di
distruzione. Non pensano che a distruggere l’Iraq e si comportano come se
avessero dimenticato il Kuwait. Del resto che gliene importa a loro del
Kuwait? Non è che un distributore di benzina, per loro, un pretesto per
installarsi quaggiù. Se anziché quell’angolino d’Arabia Saddam Hussein
avesse invaso l’Uganda, non avrebbero battuto ciglio. Basta con questa
guerra, basta. Gli iracheni so rono troppo, muoiono troppo, sotto quei
bombardamenti. Ma perché Bush non accetta la mezza proposta di
Saddam Hussein? Perché non ordina ai suoi di cessare il fuoco e intavola
un armistizio?»
Chi parla non è un palestinese che tira sassate agli israeliani o un
tunisino che s la in qualche corteo paci sta o un algerino sceso in piazza
per dimostrare contro la guerra nel Golfo. È un suddito fedele di sua
maestà re Fahd, un saudita che indossa il «thobe» e si copre la testa col
«quatra» a quadretti bianchi e rossi, un mussulmano che all’alba e a
mezzogiorno e nel pomeriggio e al tramonto e al calar della sera si ferma
per pregare Allah.
(«Please, don’t write my name, non scriva il mio nome. Mi chiami
semplicemente Khalid».)
Inoltre è ricco. A Riad ha due case, due mogli, una orida ditta che
importa computer. Parla un ottimo inglese appreso a Londra dove ha
studiato e s’è laureato in economia, ama far le vacanze a Roma e a Parigi,
legge l’«Arab News» cioè un giornale conservatore, e non ama Saddam
Hussein.
Dopo l’invasione del Kuwait si schierò dalla parte di chi invocava
l’intervento degli americani. «Le dirò di più. Quando Schwarzkopf
incominciò a costruire la sua Grande Armada, tirai un respiro di sollievo.
Ma presto quel respiro divenne a anno, angoscia, e presi a chiedermi:
Dio misericordioso, ora come faremo a mandarli via? Presi anche ad
augurarmi che la guerra non scoppiasse o scoppiasse il più tardi possibile,
e il 17 gennaio ho pianto. Non mi piace avere gli americani in casa,
sapere che stanno nelle mie città e nel mio deserto. Non mi piace pensare
che quei bombardieri decollano dalle mie città e dal mio deserto. Mi fa
sentire in colpa. E questo senso di colpa dura da un mese. Un mese,