Page 141 - Oriana Fallaci - Intervista con se stessa. L'Apocalisse.
P. 141

diventato presidente della Repubblica. Così contenta... Ecco uno
                che non ci darà dispiaceri, m'ero detta. Da New York gli avevo

                anche scritto una letterina dove parlavo della Resistenza. Lui mi
                aveva risposto con una letterona dove parlava del Risorgimento,

                e fino all'autunno del 2002 quando invano lo avevo sollecitato a
                difendere Firenze minacciata dai noglobal che volevano

                sporcare i monumenti del Centro Storico, da lui non avevo

                ricevuto forti dispiaceri. Dopo, m'aveva deluso soltanto il modo
                in cui s'era vendicato del mio piccolo attacco sul Corriere.

                Voglio dire il fatto che all'Università di Firenze si fosse divertito
                a parlare di «fallaci inganni, fallaci illusioni». Non m'era parso

                dignitoso, degno d'un capo di Stato. Quanto agli scarni quindici
                minuti che aveva concesso a Bush in visita ufficiale a Roma,

                m'avevano turbato: sì. Vi avevo visto una grossa sgarberia, un
                grave gesto di ingratitudine verso il paese cui dovevamo la

                vittoria sul nazifascismo. Quindi la nostra libertà.


                M'era parsa, inoltre, una prova di debolezza vis-à-vis dei

                mascalzoni che contro Bush manifestavano inneggiando a

                Saddam Hussein. Ma quel venite-venite, se-venite-vi-diamo-la-
                cittadinanza, le superò tutte. Mi ferì a morte. Me lo inserì in ciò

                che chiamo la Triplice Alleanza cioè l'alleanza della Destra e
                della Sinistra e della Chiesa che insieme hanno spalancato le

                porte allo straniero, hanno avviato l'Incendio di Troia, hanno
                trasformato l'Europa in Eurabia. E disperata pensai che no, non

                stavo ascoltando Carlo Martello a Poitiers. Non stavo
                ascoltando El Cid Campeador a Valencia. Non stavo ascoltando

                Giovanni Sobieski sotto le mura di Vienna. E tantomeno stavo
                ascoltando Leonida alle Termopili. Non ero, no, nella Francia

                del 732 d.C. O nella Spagna del 1094, o nell'Austria del 1683. E
                tantomeno nella Grecia del 480 a.C. Ero nell'Italia del 2004,

                un'Italia dove lo straniero contava più del cittadino e l'Inno di
                Mameli si cantava solo alle partite internazionali di calcio. Poi

                pensai che il Mostro a sette teste e dieci corna aveva davvero



                                                          139
   136   137   138   139   140   141   142   143   144   145   146