Page 71 - Le canzoni di Re Enzio
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Affretta il passo, o peregrino, e trova
            qualche uscio aperto, ove tu chieda albergo.

            Ora in palagio tuonano le porte,
            i catenacci stridono e le chiavi,

            serrando il re. Poi tace ultima anch’essa
                       la lunga lugubre campana.



            Ma Enzio ancora ode sonare il corno

            della gran caccia, dalla Valle rossa.
            Di sangue tinti sono l’erba e i fiori.

            Giacciono i morti, i morti dell’impero,
            giacciono, chi sul dorso, chi sul petto,

            tra i neri massi, a piè dei neri pini.
            Tre volte suona l’olifante, e chiama.

            È la vigilia della tua vendetta:
            chi ha mal fatto, non lasciar che dorma:

                       ritorna, imperatore magno!



            Oh! egli udì; l’imperator ritorna.
            S’ode la vasta e lunga cavalcata.

            Viene tra gli alti tenebrosi monti,
            per grandi valli e grandi acque correnti.

            Avanti e dietro suonano le trombe
            a riscontrare in alto l’olifante.

            Non ha tra lor chi non si dolga e pianga.
            Sul calpestìo risuona e sulle trombe

            il pianto, come in mezzo all’acquazzone
                       le raffiche dell’uragano.



            Sono alti i monti, gli alberi molto alti.

            La Valle è piena di rosai selvaggi.
            La notte è chiara: è chiarità di luna;

            tremano i gigli nella rossa Valle.
            Presso ogni morto è fitta la sua spada,

            la spada sua con l’elsa fatta a croce.
            Stanno riversi con le braccia in croce:

            è nato un giglio in bocca d’ogni morto.
            Ognuno ha il giglio, a ciò tu li conosca:




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