Page 90 - Pablo Picasso
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debiti  se  non  con  se  stesso»  (Kahnweiler).  Quarant’anni  dopo,  così
           l’artista spiegava le ragioni e l’essenza della svolta creativa del 1907:

           «Mi ero accorto che tutto era già stato fatto. Bisognava rompere con
           tutto, fare la propria rivoluzione e ricominciare da zero».[54]
              Questa rottura, però, questa rivoluzione non fu né istantanea né facile

           da realizzare. Si dispiegò nel contesto di una nuova crisi spirituale e
           creativa,  più  profonda  e  più  vasta  che  mai,  perché  investiva  le

           possibilità  tecniche,  spirituali  e  pittoriche  accessibili  all’artista  («Mi
           ero accorto che tutto era già stato fatto»). Aveva a che fare con il futuro
           stesso  di  Picasso  come  artista  e,  dunque,  con  la  sua  stessa  esistenza

           come individuo. Fu una rivoluzione solitaria, interiore, e forse nessuno
           la comprese meglio di Apollinaire, che un anno dopo avrebbe vissuto

           un’identica  rivoluzione.  Nel  suo  Pittore  cubista  (1913)  Apollinaire
           sintetizzò l’esperienza propria e di Picasso in una teoria della creazione

           artistica fondata su un criterio per certi versi sorprendente: la fatica.
              «Ci sono poeti a cui è la loro stessa musa a dettare le opere; ci sono

           artisti la cui mano è guidata da un essere sconosciuto che li usa come
           strumento.  Questi  artisti  non  sentono  mai  la  stanchezza,  perché  non
           lavorano  mai  veramente  e  riescono  a  produrre  in  abbondanza,  da

           mattina a sera, dovunque si trovino, in qualsiasi stagione: costoro non
           sono  esseri  umani,  bensì  macchine  poetiche  o  artistiche.  La  loro

           ragione non è, per essi, una forza ostile; non devono mai combattere, e
           la loro opera non presenta mai il minimo segno di sforzo. Non sono

           divini né autoreferenziali. Sono una sorta di protesi della natura, e le
           loro opere non passano attraverso l’intelletto.

              Riescono a commuoverci senza umanizzare le armonie che creano. E
           ci  sono  altri  poeti  e  artisti  che  profondono  continuamente  le  loro
           energie, che si volgono alla natura, ma che con essa non hanno alcun

           contatto diretto; devono trarre ogni cosa da dentro, da se stessi, perché
           non  c’è  demone  né  musa  che  li  ispiri.  Vivono  in  solitudine  ed

           esprimono  soltanto  quel  che  riescono  ogni  volta  a  enunciare,  sforzo
           dopo  sforzo,  tentativo  dopo  tentativo.  Gli  uomini  creati  da  Dio
           riposeranno, un giorno, e ammireranno la loro opera, ma che fatica, che

           imperfezione, che crudezza! Picasso esordì come pittore del primo tipo.
           Mai,  però,  si  è  assistito  a  uno  spettacolo  fantastico  come  la

           metamorfosi  che  lo  ha  portato  a  diventare  un  artista  del  secondo
           tipo.»[55]

              Seguendo  le  fasi  concettuali  e  compositive  delle  Demoiselles
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