Page 91 - Pablo Picasso
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d’Avignon,  osservando  lo  sviluppo  delle  sue  immagini  e  la  parallela
           comparsa di idee e figure, vediamo in che modo Picasso «formuli quel

           che desidera esprimere», come studi criticamente il processo creativo
           in  sé,  costringa  ostinatamente  la  propria  mano  a  imparare  daccapo  e
           tralasci  l’abituale  virtuosismo  e  una  padronanza  quasi  automatica.

           «Mai  lavoro  fu  meno  ripagato  dalla  gioia»,  scrisse  Salmon,[56]  che
           ebbe modo di osservare Picasso in questo suo oppresso, tormentato e

           inquieto stato d’animo.
              Derain  non  escludeva  la  possibilità  del  suicidio.[57]  Tuttavia,  la
           solitudine  e  la  reclusione  di  Picasso  non  erano  frutto  di

           demoralizzazione.  Rievocando  questo  periodo,  disse  che  il  lavoro  lo
           aveva  salvato;  e  in  effetti  la  forza  di  volontà  lo  aiutò  a  superare  la

           vaghezza  del  suo  obiettivo,  ai  tempi  in  cui  si  arrovellava  sui  più
           semplici studi e modelli accademici. Ogni fase successiva era un nuovo

           passo  avanti  verso  l’ignoto,  ogni  passo  una  nuova  violazione  dello
           status  quo,  un  superamento  dei  limiti  dati,  un  ampliamento  delle

           possibilità. «Ma che fatica, che imperfezione, che crudezza!»
              Che  cosa  ottenne  Picasso,  al  prezzo  delle  suddette  difficoltà,  con
           l’abbandono  della  sua  precedente  visione  fondata  sulla  tradizione

           pittorica classica? Una nuova comprensione delle arti plastiche grazie
           alla quale il linguaggio formale di queste ultime si pone, in rapporto

           alle forme del mondo visibile, come il linguaggio poetico si pone in
           rapporto al discorso quotidiano. Nel 1907, anzi, Picasso scoprì quel che

           nel tema della cecità tipico del suo Periodo Blu era soltanto implicito:
           l’artista  possiede  l’occhio  interiore  dell’immaginazione,  vede  e  sente

           emotivamente  (Penrose),  ed  è  perciò  essenziale,  per  l’artista,  «capire
           che il mondo che noi vediamo non è nulla» (come avrebbe detto molti
           anni dopo a Kahnweiler).[58]

              Chiuso  nel  suo  studio,  lavorando  di  notte  com’era  sua  abitudine,
           Picasso si dedicò con ostinazione al compito di imparare daccapo, di

           cambiare gusto, di rieducare i propri sentimenti personali. Il fatto che le
           opere del 1907 abbiano tutte lo stesso aspetto da figure di studio (studi
           di nudo, a mezza figura, teste, nature morte) non è senza ragione; e c’è

           una  ragione  anche  alla  base  del  fatto  che  tutto  questo  lavoro
           “accademico!  si  sia  svolto  in  assenza  di  modelli,  fondandosi

           esclusivamente sull’immaginazione.
              «A quei tempi lavoravo sempre senza modelli. Aspiravo a qualcosa

           di  completamente  diverso»,  scrisse  Picasso  a  Daix.[59]  Cercava  la
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