Page 122 - Pablo Picasso
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ripudio di tratti non indispensabili, al fine di mettere a nudo l’essenza
           plastica  dell’immagine  e  di  enfatizzarne  la  realtà.  Picasso  parlò,  a

           questo  proposito,  di  «surrealtà»,  e  già  ai  tempi  del  cubismo  si
           considerava un realista. Per Picasso, infatti, la scultura serviva anche
           come  verifica  della  percezione  della  realtà,  della  sua  validità  fisica,

           dato che, come lui stesso osserva, «la scultura è il miglior commento
           che  un  pittore  possa  proporre  sulla  pittura».[74]  Contadina  (a  figura

           intera) è il ritratto della statua di una donna presso cui, nell’abitato di
           La  Rue-des-Bois,  non  lontano  da  Parigi,  il  pittore  trascorse  diverse
           settimane alla fine dell’estate del 1908. Conosciamo il suo nome, e da

           qualche  parte  potrebbero  persino  esistere  delle  fotografie,  ma  queste
           difficilmente  potrebbero  convincerci  della  realtà  di  madame  Putman

           più di quanto già non faccia Picasso nella Contadina, con i suoi tratti
           ruvidi  e  il  suo  corpo  da  lavoratrice  dei  campi,  plasmato  dalla  fatica.

           Anche  il  giovane  Van  Gogh  dipinse  le  stesse  figure  con  penetrante
           realismo, ma nella monolitica contadina di Picasso, eseguita con una

           sobrietà pari all’accuratezza, ci troviamo di fronte a un super-realismo
           che trasforma la contadina in una grande divinità ctonia, pietrificata da
           un’insormontabile  gravità,  il  viso  vanamente  rivolto  al  cielo.  «Una

           bottiglia su un tavolo non è meno significativa di un dipinto religioso».
              Non c’è nulla di meglio, per descrivere l’essenza delle nature morte

           picassiane  del  1908,  di  ciò  che  l’autore  stesso  ebbe  a  dirne  in  una
           conversazione con Yakov Tugendhold nei primi anni Dieci.[75] E se

           gli studiosi, per opere come Piatto verde e bottiglia nera e Brocca e
           vasi, parlano ora con cautela non solo di un ritorno al concreto bensì

           anche di una drammatizzazione dello spazio circostante (Daix), queste
           stesse nature morte della collezione Shchukin verranno interpretate, nel
           secondo  decennio  del  Novecento,  in  Russia,  come  una  sorta  di

           rivelazione spirituale, sorta di “icone nere”.
              Queste immagini, pur essendo costituite non da oggetti simbolici o

           misteriosi,  bensì  d’uso  comune,  paiono  tuttavia  animate  più  da  un
           desiderio di auto-espressione che non da un interesse per l’oggettività
           materiale.  Ciò  è  vero,  quantomeno,  per  queste  prime  opere  che,  in

           pratica, sono in tutto e per tutto simili alle composizioni, alle figure e ai
           paesaggi eseguiti nel 1908 da Picasso nel suo studio parigino, nel senso

           che con tutta evidenza non sono ritratti dal vero. Si resta sgomenti di
           fronte  all’esaltazione  drammatica  di  Piatto  verde  e  bottiglia  nera,

           perché  un  effetto  del  genere  si  è  piuttosto  portati  ad  aspettarselo
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