Page 99 - Francesco tra i lupi
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un’iniziativa che metteva a confronto sui temi più diversi le ragioni del credente e del non credente. Il motivo
    profondo di questo dialogo, aveva spiegato, si rintraccia nell’intimo di ogni persona: «Io ritengo che ciascuno
    di noi abbia in sé un non credente e un credente che si parlano dentro, che si interrogano a vicenda... Il non
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    credente che è in me inquieta il credente che è in me e viceversa» . Il mondo non si divide tra credenti e
    non credenti, sosteneva, bensì tra pensanti e non pensanti.
      La parabola di Martini è significativa per ciò che nell’ultimo trentennio è stato considerato accettabile o non
    accettabile ai piani alti della Chiesa italiana. Scoperto da papa Wojtyla – che nel 1979 volle fare arcivescovo di
    Milano lo studioso della Compagnia di Gesù, distintosi fino a quel momento unicamente come rettore del
    pontificio Istituto biblico e poi dell’Università Gregoriana – Martini fu gradualmente sospinto al margine,
    quando cominciò ad esprimere opinioni diverse dall’interventismo politico della Cei (guidata dal cardinale
    Ruini)  e  a  fare  proposte  dissonanti  dal  disegno  di  Giovanni  Paolo  II  sulla  rievangelizzazione  della  società
    contemporanea. Presidente del consiglio delle conferenze episcopali europee dal 1986 al 1993, dato il suo
    notevole  prestigio  e  l’attitudine  al  dialogo  con  l’ebraismo  e  l’islam,  oltre  che  con  le  altre  Chiese  cristiane,
    Martini si trovò allontanato dalla carica per decisione di Wojtyla, che cambiò lo statuto dell’organizzazione
    esigendo che soltanto i presidenti delle conferenze episcopali nazionali potessero essere eletti alla presidenza
    europea.
      Nel 1999, durante il sinodo dei vescovi dedicato da Giovanni Paolo II alla situazione europea dopo la caduta
    del muro di Berlino, l’arcivescovo di Milano sorprese i confratelli evocando un «sogno». La visione di un
    nuovo  concilio,  che  avesse  il  coraggio  di  discutere  i  problemi  più  spinosi:  la  collegialità  nel  governo  della
    Chiesa,  la  carenza  drammatica  di  sacerdoti,  la  posizione  della  donna  nella  comunità  ecclesiale,  la
    partecipazione  dei  laici,  il  tema  della  sessualità,  la  disciplina  cattolica  del  matrimonio,  l’ecumenismo.  Un
    irritato  silenzio  delle  alte  gerarchie  accolse  la  proposta.  Né  Giovanni  Paolo  II  né  Benedetto  XVI  vollero
    affrontare le questioni indicate.
      Nel 2002, allo scoccare dei settantacinque anni (con una puntualità inusuale da parte vaticana, poiché in
    genere si concede un ulteriore biennio agli arcivescovi di sedi importanti), Martini fu pensionato. Si ritirò
    per qualche anno a Gerusalemme e poi tornò in Lombardia, a Gallarate. Fu egualmente una stagione operosa.
    In lunghe conversazioni con il confratello gesuita Georg Sporschill, poi raccolte in un libro, colse l’occasione
    per lanciare segnali.
      Le  Chiese  occidentali,  spiegava,  non  possono  continuare  a  importare  preti  dall’estero,  bisogna  aprire  la
    discussione su quelli che nel linguaggio ecclesiastico vengono chiamati i «viri probati», cioè l’eventualità di
    ordinare  sacerdoti  uomini  sposati  di  provata  fede  e  costumi.  Martini  considerava  anche  il  sacerdozio
    femminile una questione su cui riflettere. Raccontava di un incontro con l’arcivescovo di Canterbury George
    Carey, primate anglicano dal 1991 al 2002, proprio negli anni in cui la Chiesa anglicana era in tensione per le
    prime ordinazioni di donne-sacerdote, fermamente avversate dal Vaticano. «Gli dissi per fargli coraggio che
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    questa audacia poteva aiutare anche noi a valorizzare di più le donne e a capire come andare avanti» .
      Rientrato da Gerusalemme, Martini iniziò a tenere una rubrica sul «Corriere della Sera» per un colloquio
    settimanale  con  l’opinione  pubblica,  affrontando  gli  argomenti  più  delicati  che  la  conferenza  episcopale
    italiana rimuoveva o risolveva con condanne: il testamento biologico, le relazioni omosessuali, la situazione
    delle coppie di fatto, le problematiche legate alla fecondazione artificiale. Interventi guardati con sospetto dal
    Vaticano. La rubrica «spiacque a Roma», rivelò commemorando la sua scomparsa il direttore del giornale
    Ferruccio  De  Bortoli,  che  in  un  editoriale  scrisse:  «È  morto  un  profeta.  Noto  con  rammarico  una  certa
    freddezza da parte di certi ambienti ecclesiastici... Perché il cardinale Martini fu visto come una figura quasi
    eccentrica, eretica persino, più vicina al protestantesimo?». De Bortoli espresse l’auspicio che Benedetto XVI
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    venisse a Milano a celebrare i funerali. La proposta non fu accolta .
      Alle esequie del porporato gesuita, scandite il 3 settembre 2012 dagli interventi di tre cardinali – l’arcivescovo
    Scola, Angelo Comastri con un messaggio di Benedetto XVI, e l’arcivescovo precedente Tettamanzi – l’unico
    applauso  scrosciante  fu  riservato  alle  parole  di  quest’ultimo,  che  confessò:  «Ti  abbiamo  amato  per  il  tuo
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    sguardo capace di vedere lontano» .
      Sette mesi dopo saliva al trono di Pietro il primo papa gesuita della storia. Benché non suo discepolo in senso
    stretto, Bergoglio dopo la sua elezione ha riportato in circolazione molti elementi del pensiero di Martini.
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