Page 111 - Francesco tra i lupi
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una canzone di Bob Dylan, «The times they are a-changing... i tempi cambiano». Sempre in America il
periodico «Fortune» ha collocato Francesco al primo posto dei cinquanta leader più influenti del pianeta. A lui
sono stati dedicati un album di figurine e addirittura un settimanale, «Il mio papa», e libri per bambini
intitolati Il Papa raccontato ai ragazzi e Il nostro amico Jorge. Una suora salvadoregna, che a sorpresa ha partorito
un bimbo a Rieti, ha voluto orgogliosamente chiamarlo Francesco.
Ma la sua dimensione interiore a molti sfugge. «Mario Bergoglio, prete» è la definizione che più gli piaceva
prima di salire sul trono di Pietro. Francesco è capace di passare una notte intera a confessare e rimpiange di
non poterlo fare ora. Francesco è uomo di grande preghiera. Si alza verso le quattro e mezza-cinque del
mattino e si concentra sulla meditazione della Scrittura prima di celebrare messa. Recita il rosario nel
pomeriggio e a sera dedica un’ora all’adorazione eucaristica. La sua preghiera assorbe incontri, discorsi, segnali
del suo vissuto quotidiano. «È piena di volti e nomi», spiega il suo amico Victor Manuel Fernández, rettore
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dell’Università Cattolica di Buenos Aires . Nella preghiera, confessa il papa agli amici intimi, trova spesso
anche la soluzione a decisioni che deve prendere. C’è una stanzetta, nella residenza di Santa Marta, dove il
papa si ritira a pregare di fronte ad una statua di San Giuseppe addormentato: sotto ci infila bigliettini con le
suppliche che gli mandano i fedeli.
Le messe mattutine a Santa Marta davanti a gruppi di fedeli – e non ospiti scelti come avveniva con
Giovanni Paolo II – nascono dal bisogno di non perdere da prete il contatto diretto con il popolo di Dio
intorno all’eucaristia. Quando entra nella cappella rivestito dei paramenti e riconoscibile solamente dallo
zucchetto bianco, si avverte fisicamente che Francesco reinterpreta il suo ruolo di papa come sacerdote e
testimone del Vangelo rivolto all’umanità. Da quando è stato eletto, Francesco non parla ad una categoria – i
fedeli cattolici – ma rivolge le sue parole a tutti gli uomini e le donne del nostro tempo.
Il rito a Santa Marta si svolge in un’estrema essenzialità, contrassegnata da lunghi momenti di silenzio e
raccoglimento. Dopo l’omelia Francesco siede in silenzio sul suo seggio e vi resta a lungo. Rimane
meditando, silenzioso, mentre viene distribuita l’eucaristia. Continua ad osservare il silenzio dopo la
comunione. E al termine della messa viene a sedersi nei banchi dei fedeli per un’altra pausa di raccoglimento.
Nel piccolo ambiente della cappella risalta la forte spiritualità di Bergoglio, la sua faccia meno visibile al
pubblico. Durante la consacrazione, quando tiene elevata l’ostia, papa Francesco la guarda fisso con una
straordinaria intensità. Non c’è più nulla attorno a lui, solo la particella bianca su cui sembra concentrarsi
totalmente. Anche i fedeli rimangono contagiati dal senso di assoluto che pervade lo spazio. In quella scabra
concentrazione, che si ripete quando Francesco fissa il calice alzato, il papa potrebbe essere ovunque.
Celebrando l’eucaristia nel deserto come Teilhard de Chardin o in un lager dei totalitarismi del Novecento.
C’è una dimensione grave e seria in Bergoglio, che pochi conoscono, ma gli si legge sul volto quando,
durante i grandi riti di massa, abbandona per un attimo il ruolo pubblico e lo sguardo assume un tratto
pensieroso e velato di preoccupazione. È come se dinanzi all’occhio interiore si rivelasse ciò che di tragico c’è
nel mondo. Friedrich Hölderlin, il poeta tedesco che gli è più caro, descrive gli umani dolenti come «acqua
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perpetua gittata nell’Ignoto, laggiù» . Non a caso, alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, il trentatreenne
Bergoglio aveva scritto in una sua preghiera: «Voglio credere in Dio Padre, che mi ama come un figlio...».
Francesco non è un buonista, non ha un ottimismo di superficie. Forte in lui è la consapevolezza dei mali
del mondo e dei peccati, delle mancanze, degli errori che travagliano lui come qualsiasi altro cristiano. Fin
dagli esordi del pontificato ha nominato il diavolo. Il Male per lui non è un concetto astratto, è un principio
attivo che corrode l’atteggiamento positivo delle persone. Quando Gesù libera l’indemoniato, ha esclamato
una mattina alla messa in Santa Marta, non basta dire come certi preti che si trattava di problemi psichici.
«Non abbiamo il diritto di rendere la cosa tanto semplice...». Il brano evangelico lo spinge a suggerire ai fedeli
un serio esame di coscienza: «Io vigilo su di me? Sul mio cuore? Sui miei sentimenti? Sui miei pensieri?
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Custodisco la presenza dello Spirito Santo in me?» . Il diavolo, sottolineò nel primo incontro con i cardinali
dopo l’elezione, semina «pessimismo, amarezza, scoraggiamento». I mafiosi li ha minacciati con la pena
dell’inferno: «È quello che vi aspetta, se continuate su questa strada».
Francesco negli ultimi decenni non ha mai esibito il suo essere gesuita, anche se proprio l’accenno alla
tristezza emanata dal demonio è tipico della tradizione di Ignazio di Loyola. L’aspetto della spiritualità gesuita
più caratteristico di Francesco è il «discernimento»: l’attenzione a cogliere e soppesare il «grande e il piccolo»