Page 108 - Francesco tra i lupi
P. 108

latina, definisce una «esplosione di aspettative, gioie, speranze» innescate dal pontificato di Bergoglio.
      Francesco è consapevole che intorno a lui il terreno è minato. «In curia la resistenza sta crescendo», ammette
    un curiale. La reazione del pontefice argentino ora è venata di umorismo, ora si fa pensierosa. «Mi hanno
    tirato un goal da centrocampo», commenta quando gli organizzano qualche nomina poco convincente. Di
    fronte alle tensioni sotterranee la sua reazione è serena: «Il demonio si agita... siamo sulla buona strada».
      Il papa non finge di non vedere che fra i molti che applaudono, ci sono quanti non condividono affatto
    alcune o molte delle sue posizioni e da ratzingeriani si sono riciclati bergogliani solo formalmente. Alla messa
    con i nuovi cardinali, creati nel concistoro del febbraio 2014, ha ammonito che il Vaticano non è una corte:
    «Aiutiamoci a evitare intrighi, chiacchiere, cordate, favoritismi, preferenze». Contro il finto ossequio il papa
                                                                        372
    ha invitato ad adottare il linguaggio del Vangelo «Sì, sì. No, no» . Terminato il rito, rivolgendosi alla folla in
    piazza San Pietro, il pontefice ha esortato a lavorare per l’«unità» della Chiesa, pronunciando la parola quattro
    volte in un fiato. È un segnale d’allarme.
      Contribuisce ad un certo “essere solo” di Francesco la complessità del suo carattere. Il papa, che incoraggia
    la partecipazione nella Chiesa, così compañero con i suoi preti a Buenos Aires, amabile con i fedeli, nel privato
    custodisce  una  sua  solitudine.  Dice  di  lui  una  personalità  vaticana,  che  lo  conosce  da  lunghi  anni:  «Di
    sant’Ignazio si è scritto che osservava una “distanza cordiale” nei confronti degli altri. Jorge Mario Bergoglio a
    suo modo è così. E questo gli rende difficile costruire una squadra intorno a sé».
      Nel vasto universo cattolico esiste, però, un giacimento di risorse umane favorevole alla grande riforma di
    Bergoglio.  Sono  quei  vescovi  che  nella  fase  finale  del  pontificato  di  Ratzinger  attendevano  con  ansia  un
    cambio di direzione. Se n’erano colti i segnali nel dibattito al sinodo sulla nuova evangelizzazione, svoltosi
    nell’ottobre del 2012. In quella sede voci coraggiose avevano reclamato che la Chiesa facesse «in tutta onestà un
    esame  di  coscienza  sul  modo  di  vivere  la  fede»:  così  il  presidente  dell’episcopato  latino-americano  Carlos
    Aguiar Retes. Il presule filippino Palma aveva invitato a fare luce su «ombre o fallimenti» e il suo conterraneo
    Villegas  aveva  chiesto  che  la  gerarchia  evitasse  «arroganza,  ipocrisia,  settarismo»,  smettendo  di  nascondere
    errori e punendo chi sbaglia.
      Si era manifestato in tutte le aree geografiche e culturali un diffuso bisogno di cambiare marcia. Il vescovo
    Diarmuid Martin di Dublino aveva raccomandato che la Chiesa non si rivolgesse alla società contemporanea
    in termini di «aggressione ideologica» e il cardinale Ravasi, ministro vaticano della Cultura, aveva auspicato un
    «dialogo  senza  arroganza»  con  la  scienza.  L’arcivescovo  di  Manila  Tagle  aveva  ammonito  che  tra  i
    contemporanei  il  volto  di  Gesù  va  testimoniato  con  l’«umiltà,  il  rispetto  e  il  silenzio  della  Chiesa».  Altri
                                                 373
    avevano insistito sul recupero di credibilità .
      Sotto la coltre del pontificato ratzingeriano una parte dell’episcopato precorreva, dunque, un approccio che
    sarebbe diventato caratteristica del nuovo papa. A cominciare da uno stile di vita più «pastorale» per preti e
    vescovi fino all’importanza di un nuovo modo di comunicare. Il mondo d’oggi e specie la gioventù – aveva
    rimarcato il vescovo nigeriano Badejo – non accetta più una comunicazione unilaterale e tocca alla Chiesa
                                                                                   374
    superare l’«antiquato modello docente-discente oppure oratore-ascoltatore» .
      Interventi energici sul tema della giustizia avevano indicato quale compito primario della Chiesa la lotta per
    la  dignità  umana  e  l’impegno  a  contrastare  «disuguaglianze  sociali,  violenza,  ingiustizie».  Anche  sul  ruolo
    femminile  nella  Chiesa  si  erano  sentite  voci  anticipatrici  al  sinodo  del  2012.  Un  vescovo  canadese  aveva
    rivendicato il «deliberato e sistematico coinvolgimento delle donne in posizioni di guida ad ogni livello di vita
    ecclesiale», mentre il presule tedesco Bode aveva fatto un passo più in là, proponendo l’accesso delle donne al
              375
    diaconato .
      Sono questi gli alleati del papa sparsi nelle diocesi della Chiesa universale. L’impresa a cui si sta dedicando
    richiede il risveglio e la mobilitazione di queste energie. Entrato nel secondo anno di pontificato, Francesco
    ha iniziato a costruire una squadra di governo. In curia si appoggia primariamente sulle leve provenienti dalla
    diplomazia vaticana. Sono diplomatici di carriera il segretario di Stato Parolin, il prefetto della congregazione
    per il Clero Stella, il segretario generale del sinodo Baldisseri (tutti e tre fatti cardinali), il cardinale Abril y
    Castelló, entrato nella commissione di vigilanza cardinalizia dello Ior, e l’ex ministro degli Esteri cardinale
    Tauran, membro dello stesso organismo e della commissione d’inchiesta sullo Ior.
      Si tratta di personalità formatesi alla scuola di Paolo VI e del suo ministro degli Esteri Agostino Casaroli, poi
   103   104   105   106   107   108   109   110   111   112   113