Page 133 - La coppia intrappolata
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6.2  Il comportamento acquisito non genetico e genetico         119


           è difficile dimostrarla e può essere sopravvalutata o sottovalutata a seconda dell’a-
           nalisi utilizzata per misurarla. È quindi più utile parlare di comportamento preva-
           lentemente genetico quando l’apprendimento individuale non è necessario e preva-
           lentemente non genetico (fenotipico) quando l’apprendimento è essenziale. Di con-
           seguenza esiste una memoria genetica che si è formata nella specie sopravvissuta
           alle numerose pressioni evolutive e che si manifesta con l’attività motoria e le rea-
           zioni comportamentali immediate o esplosive.
              La memoria non genetica, definita estesa per le sue ampie connotazioni, appar-
           tiene alla corteccia cerebrale ed è prevalentemente soggettiva; è rappresentata dal-
           l’esperienza che appartiene a ogni singolo uomo. Può rappresentare la nostra “co-
           noscenza” utile per dialogare con le componenti genetiche e con le funzioni della
           corteccia associativa prefrontale, determinando così importanti risposte emotive.
              È quindi chiaro che l’attività neurofarmacologica può avere la sua valenza solo
           quando l’alterazione funzionale risiede nell’attività comportamentale genetica o nel-
           le funzioni della corteccia associativa prefrontale, ossia quando la risposta a un pre-
           ciso stimolo sia talmente elevata da causare l’impossibilità di raggiungere e attiva-
           re il comportamento acquisito corticale che ha funzioni modulanti.
              Se si parla di attacco di panico ogni lettore avrà, per conoscenza diretta o ripor-
           tata, l’immagine di una persona con un elevatissimo stato di ansia e con il terrore
           di essere vicino alla morte provocata dalla tachicardia (infarto) o dalla dispnea (ar-
           resto respiratorio) o che chiede aiuto per una sensazione di grave malessere, non de-
           finibile.
              L’episodio si esaurisce in dieci minuti lasciando il soggetto prostrato. In quei po-
           chi minuti si è istaurato un circolo vizioso dove il panico acuisce i sintomi fisici e
           questi il panico.
              La paura della morte può essere nascosta dalla paura d’impazzire, di perdere co-
           noscenza e di non risvegliarsi più.
              La breve durata dell’attacco di panico non causa problemi alla psicoterapia e an-
           che se gli attacchi fossero frequenti vi è sempre una finestra temporale che dà la pos-
           sibilità di agire e riportare verso la normalità queste reazioni causate anche da mi-
           nimi stimoli interni o esterni.
              Differente è la presenza di un disturbo di panico o, secondo la più antica dizio-
           ne italiana, di uno stato di allarme. In questi casi l’ansia rende impermeabile le sue
           aree associative prefrontali dotate di un’importante funzione inibitoria sul resto del-
           la corteccia cerebrale e in tal caso nessuna metodologia che influenzi positivamen-
           te l’inibizione risulta attuabile.
              Lo stesso accade nell’ossessione.
              Le ossessioni sono presenti in tutto il genere umano ed è la loro intensità che ne
           determina l’aspetto patologico.
              Alcune sono vissute con pochissima ansia, altre sono giustificate da un atteg-
           giamento che le causa, ma rientrano ancora nella normalità.
              Controllare il rubinetto del gas o dell’acqua o la chiusura della porta di casa di-
           viene una necessità ossessiva se si deve controllare numerose volte.
              L’ansia influenza negativamente l’ossessione; se non si compie quel gesto o quel-
           l’azione l’ansia produce uno stato di malessere che raggiunge un acme doloroso che
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