Page 16 - Prodotto interno mafia
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simboli e pratiche religiose. Risuonano le parole pronunciate in
carcere dal feroce boss Luciano Liggio, «la primula di
Corleone»: – In quasi tutti i grandi uomini ho trovato una grande
incoerenza tra la loro vita e le loro opere… io sono in pace con la
mia coscienza. Penso che se esiste Dio lo dobbiamo cercare
dentro di noi e vivere in maniera semplice, cercare l’equilibrio
tra la materialità e la spiritualità che c’è in ognuno di noi. Vivere
tutti i momenti in forma integrale, non rinnegando mai il male
che c’è in noi e non esaltando mai il bene che c’è in noi. Ho letto
Socrate, uno che ammiro perché come me non ha scritto niente.
Ho letto i classici. E poi storia, filosofia, pedagogia. Ho letto
Dickens, Dostoevskij, Croce. Mi sono occupato per due anni di
sociologia. Ma mi ha deluso. Dà la diagnosi dei mali sociali ma
non li cura .
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La religione cura i mali. È questa la convinzione di molti
mafiosi che durante le processioni si issano la croce in spalla o si
battono i pugni sul petto in Mea Culpa penitenziali. È la storia
del boss Pietro Aglieri e del suo padre confessore, il frate Mario
Frittitta. Ex seminarista, diventato numero due dei corleonesi,
Aglieri è stato condannato all’ergastolo per la strage di Capaci.
Dopo l’arresto, la scoperta dei suoi diari rivelò una intensa vita
spirituale: Aglieri era un criminale devoto, un conoscitore attento
e scrupoloso della dottrina cattolica. Dalle pagine emerse la
figura di un «consulente spirituale», un frate carmelitano, Mario
Frittitta, che era solito confessare Aglieri durante la latitanza e
discutere con lui di teologia e Vangelo. Il vescovo di Mazara del
Vallo Domenico Mogavero, intervistato nelle pagine che
seguono, cita l’impatto che proprio il rapporto Aglieri-Frittitta
ebbe sull’opinione pubblica e il dibattito che sollevò all’interno
della Chiesa.
Nel libro La mafia devota , la sociologa Alessandra Dino ha
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parlato a questo proposito di «condizione di utile impiego del
messaggio evangelico e del ruolo profetico della Chiesa ai propri
fini personali e a quelli piú ampi dell’organizzazione criminale».
Il dio dei mafiosi è «un dio antropomorfizzato, a misura propria
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